Cine 4 – The Post

Cine 4 – The Post

Giovedì 22 novembre ore 15,30 e 21 (€ 5,00 – under 25 € 3,50)

  • CANDIDATO AI GOLDEN GLOBES 2018 PER: MIGLIOR FILM DRAMMATICO, REGIA, ATTRICE (MERYL STREEP) E ATTORE (TOM HANKS) PROTAGONISTI, SCENEGGIATURA E COLONNA SONORA. 
  • CANDIDATO ALL’OSCAR 2018 PER: MIGLIOR FILM E ATTRICE PROTAGONISTA (MERYL STREEP).

Genere: Drammatico
Regia: Steven Spielberg
Interpreti: Meryl Streep (Katharine Graham), Tom Hanks (Ben Bradlee), Sarah Paulson (Tony Bradlee), Bob Odenkirk (Ben Bagdikian), Tracy Letts (Fritz Beebe), Bradley Whitford (Arthur Parsons), Bruce Greenwood (Robert McNamara), Matthew Rhys (Daniel Elisberg), Alison Brie (Lally Graham Weymouth), Carrie Coon (Meg Greenfield), David Cross (Howard Simons), Jesse Plemons (Roger Clark); Michael Stuhlbarg (Abe Rosenthal), Zach Woods (Tony Essaye)
Nazionalità: USA
Distribuzione: 01 Distribution
Anno di uscita: 2018
Data uscita Italia 1 febbraio 2018
Origine: USA
Sceneggiatura: Liza Hannah, Josh Singer
Fotografia: Janusz Kaminski
Musiche: John Williams
Montaggio: Michael Kahn, Sarah Broshar
Scenografia: Rick Carter
Costumi: Ann Roth
Durata: 118′
Produzione: Tim White, Trevor White, Adam Somner, Tom Karnowski per Amblin Entertainment, Dreamworks.
Tematiche: Famiglia, Mass-media, Politica-Società, Storia
Valutazione: Consigliabile, Problematico, dibattiti

 Soggetto:

Anno 1971. Katharine Graham, prima donna alla guida del “The Washington Post”, e Ben Bradlee, direttore del giornale, mettono in gioco la credibilità del giornale, svelando la massiccia copertura di segreti governativi riguardanti la guerra in Vietnam durata per decenni…

Valutazione Pastorale:

Parli delle origini di Steven Spielberg e di colpo ti ritrovi negli anni Settanta, a quel telefilm “Duel”, che nel 1971 ne avviò la carriera e a quel film “Sugarland Esxpress” che nel 1974 ne segnò il debutto su grande schermo. Sembra (ed è) un periodo lontano, travolto da quaranta anni di cinema, di storia, di evoluzioni tecniche. In fondo ai quali ritrovi un cineasta dalla capacità espressiva intatta e pulita, al servizio di una visione delle cose e dei fatti di nitida lucidità, uomo di cinema insomma che tiene dritta la barra della navigazione nelle tempeste della società e guarda al passato con l’occhio ben aperto sul presente. Così succede in questo “The Post”, rievocazione di un episodio che rimanda esattamente al 1971, anno del suo esordio. Un racconto dentro il quale Spielberg si muove con destrezza e misura, dando esatta la sensazione che il sapere già come sono finite le cose gli serva per scavare in modo più profondo nella psicologia dei personaggi coinvolti, per leggere con maggiore esattezza i risvolti drammatici ed emotivi degli avvenimenti. In questa prospettiva si possono guardare come vivi e palpitanti i ruoli di Katharine Graham e di Ben Bradlee, partecipare ai momenti difficili e decisivi delle scelte che sono chiamati a compiere. E che loro risolvono tra incoscienza, coraggio e rischio come fece a suo tempo James Stewart in “Mr. Smith va a Washington” di Frank Capra, 1939. Con la voglia di giocarsi il tutto per tutto di fronte a scelte etiche non rinviabili per il futuro del Paese. Insomma Spielberg racconta ancora un “come eravamo”, arrivando nel finale a creare i presupposti per preparare i film già fatti, anche da altri (“Tutti gli uomini del Presidente” con Robert Redford e Dustin Hoffman di Alain J. Pakula sul caso Watergate, 1976). Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione:

il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e, quasi inevitabilmente, in molte successive occasioni, per affrontare temi di forte interesse quali ‘cinema e giornalismo’, ‘cinema e storia’, ‘America e guerra del Vietnam’, ‘Mass-media e etica’, e altri.

Scarica qui la nostra scheda del film.

Critica:

Nel 1971 Daniel Ellsberg (Matthew Rhys), economista statunitense e uomo del Pentagono, decise di consegnare alla stampa la verità sulla Guerra del Vietnam (Pentagon Papers). Mentre il New York Times dopo una prima pubblicazione venne impedito dalla Corte Suprema di portare avanti l’inchiesta, il Washinton Post, grazie al coraggio della prima donna editore Katharin Graham (la grandiosa Meryl Streep) e alla forte determinazione del direttore Ben Bradlee (il credibile Tom Hanks) decisero di continuare l’ardua impresa per amore della verità e della libertà della stampa. Un episodio della recente storia americana che precedette di poco lo scandalo del Watergate che portò alle dimissioni del presidente americano Richard Nixon nel 1974. Steven Spielberg porta così in scena con «The Post», in una sorte di thriller politico, una delle pagine più tristi e forse tra le più complesse degli Stati Uniti, dando vita e pathos ai protagonisti del tempo scegliendo un cast di tutto rispetto. Grazie ad una sceneggiatura impeccabile e un ritmo incalzante il film punta il dito sulla lotta contro le istituzioni che impediscono i diritti dei cittadini e la lotta per mantenerli: «Strumento al servizio dei governati e non dei governanti». Un’opera ancora importante di un grande maestro cineasta che attraverso lo sguardo sul passato getta luce sull’oggi, richiamando principi e valori di sempre. Primo fra tutti quello del diritto di essere correttamente informati e il dovere di informare la gente correttamente. In un tempo in cui si parla tanto di fake news, un film del genere ci sembra quanto mai necessario. Non tanto per demonizzare o avvertire, piuttosto per attivare le coscienza collettiva affinché i giornalisti possano fare «bene» il loro lavoro. Un elogio alla stampa e ai tutti i mestieri connessi (stupende le immagini sulle rotative e le riunioni di redazione), ma soprattutto alla conclamata «deontologia» che non dovrebbe mai venire meno. A vantaggio di tutti. (Gianluca Bernardini, sdcmilano.it)

Si conclude nel 1971 laddove inizia Tutti gli uomini del presidente e, al pari del film di Pakula (1976), svela i retroscena di una gloriosa impresa giornalistica volta a smascherare gli inganni del potere. Nel caso di The Post parliamo dei decenni di menzogne sulla guerra del Vietnam raccolte in un dossier commissionato dall’allora segretario della Difesa McNamara. (Alessandra Levantesi, La Stampa)

Pentagon Papers, un anno prima del Watergate: sono le carte segrete su menzogne e omissioni, stragi comprese, sulla guerra in Vietnam. Fotocopiate dal 1965, nel 1971 il giornalista militare Dan Ellsberg le spedisce al “N.Y. Times” e al “Washington Post”. il film incomincia qui, nel punto di vista più avventuroso e significativo del Post, thriller della scelta tra etica giornalistica, pressioni politiche e garanzie democratiche portate fino all’Alta Corte quando con un colpo di coraggio e ribellione femminile all’establishment maschile l’editrice Katharine Graham (una Streep che più Streep non si può) permette al direttore Bradke (Hanks) di ordinare “press” alle rotative. (Silvio danese, Quotidiano Nazionale)

Giornalisti. E donne. Due categorie che ultimamente sono state – e talvolta neanche a torto -fatte “nere” e criticate. E se invece le energie di cui ha bisogno la società venissero proprio da lì? Se la risposta ai luoghi comuni su donne e giornalisti fosse proprio un atto di coraggio da parte loro? La risposta di Spielberg è sì. (Valentina Mira, Il Romanista)

Come Lincoln e Il ponte delle spie, anche il nuovo film di Spielberg è una rievocazione del passato americano, leggibile come metafora della politica interna attuale. La storia è nota: nel 1971 il New York Times era entrato in possesso di documenti che mostravano i retroscena del coinvolgimento degli Usa in Vietnam, ma il governo ne aveva proibito la pubblicazione. (Emiliano Morreale – La Repubblica)

La battaglia per la verità e la libertà di stampa vista come un’irresistibile “sophi-ticated comedy”: La guerra fra il Washington Post e la presidenza Usa che nel 1971 portò alla pubblicazione dei “Pentagon Papers”; ricostruita scrutando caratteri e comportamento dei leggendari protagonisti della vicenda, a partire dal direttore Ben Bradlee e dalla sua editrice Katharine Graham (Tom Hanks e Meryl Streep, supremi). (Fabio Ferzetti, L’Espresso)

La stampa deve essere al servizio dei governati, non dei governanti, scriveva il giudice Hugo Black nella sentenza della Corte suprema che il 30 giugno 1971 riconosceva al «New York Times» e al «Washington Post» il diritto di pubblicare i pentagon papers, i documenti sulla guerra in Vietnam trafugati da Daniel Ellsberg, collaboratore del Dipartimento della difesa. (Roberto Escobar, Il Sole 24 Ore)

McCarthy vinse l’Oscar per il miglior film e la sceneggiatura originale (strano come gli inciampi nella storia del premio vengano prontamente dimenticati, e le statuette riacquistino rapidamente la verginità). L’inchiesta del Boston Globe sui preti pedofili ha reso per sempre antipatiche le rotative che ruggiscono, con le copie umidicce che scorrono sul nastro. (Mariarosa Mancuso, Il Foglio)

Il coinvolgente The Post di Steven Spielberg parla di qualcosa che sta molto a cuore ai giornalisti, cioè loro stessi. (Manohla Dargis, The New York Times)

Coppia d’assi col re. Per la prima volta, Hanks fa coppia, sul set, con la Streep, sotto la direzione di Spielberg. Come a dire, il meglio del meglio. Il risultato? Un film meraviglioso che racconta le vicende della pubblicazione dei Quaderni del Pentagono sul Washington Post, carte top secret che scoperchiavano molte bugie sull’intervento Usa in Vietnam. (Alice Sforza, Il Giornale)

Steven Spielberg in due passaggi folgoranti: un miracolo e un’intuizione narrativa. Il miracolo, cinematografico s’intende, è quello di resuscitare la redazione di un giornale d’inizio anni Settanta. L’intuizione quella di mettergli al centro una monumentale Meryl Streep nella parte di Katharine Graham, editrice intrepida del Washington Post. (Claudio Trionfera, Il Messaggero)

L’urgenza del presente e un omaggio al cinema di attivismo politico anni settanta, di cui però Spielberg, figlio della cinefilia, non condivide il DNA, sono le forze che animano The Post -concepito in velocità, la primavera scorsa, tra il fallimento di Il grande gigante gentile e l’uscita, in marzo, di Ready Player One. (Giulia D’Agnolo Vallan, Il Manifesto)

Se la notizia è la prima fonte della Storia allora scendono in campo Tutti gli uomini dell’Editrice. E non sarà soltanto per libidine di scoop e di Premio Pulitzer o per dimostrarsi capaci di respirare la stessa aria rarefatta dei giganti dell’informazione: in ballo, oltre alla tiratura, ad una questione di autorevolezza e al passaggio da una dimensione locale ad una ben più vasta, ci sono la libertà e quella democrazia Usa dove, come certificato dai più alti custodi della Costituzione, la stampa è al servizio dei governati non dei governanti. (Natalino Bruzzone, Il Secolo XIX)