Cine4 – Il maestro giardiniere – dal 17/4 al 19/4

Il maestro giardiniere

mercoledì 17 aprile ore 21:00

giovedì 18 aprile ore 15:30 e 21:00

venerdì 19 aprile ore 21:00

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Regia di Paul Schrader

Con Joel Edgerton, Sigourney Weaver, Quintessa Swindell, Esai Morales, Eduardo Losan

Genere Thriller, USA 2022, durata 107’

Classificazione età: +6

Classificazione contenuti: violenza, uso di armi

Sinossi:

Narvel Roth (Joel Edgerton) è il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens, che dedica le proprie giornate tanto a prendersi cura degli incantevoli giardini di questa
storica tenuta, che a soddisfare la sua datrice di lavoro, la ricca vedova Haverhill (Sigourney Weaver). La sua vita spartana viene però stravolta quando la signora
Haverhill gli chiede di prendere come assistente la sua problematica pronipote Maya (Quintessa Swindell). Questa situazione provoca il riaffiorare di sordidi segreti sepolti
in un violento passato, che ora riemergono per minacciare tutti e tre personaggi.

Trailer:

 

NOTE DI REGIA

Il maestro giardiniere di Paul Schrader è la potente storia di un uomo
tormentato dal proprio passato di killer prezzolato e suprematista
bianco, che riflette le tensioni razziali dell’America contemporanea.
Anche se inizialmente non era stata progettata come una trilogia,
Il maestro giardiniere segna il culmine di un trittico di film iniziato
nel 2017 con First Reformed – La creazione a rischio. Come per Il
collezionista di carte (2021), Il maestro giardiniere è una nuova
variazione di Schrader sul tema di “un uomo solo in una stanza”, in
cui una figura solitaria attende un cambiamento, mentre combatte
con il passato, nascondendosi dietro il lavoro.
Tali storie hanno origine all’inizio della carriera di Schrader. “Il
personaggio si è evoluto inizialmente con Taxi Driver (1976), come
sviluppo dell’eroe esistenziale della narrativa europea”, ha detto il
regista.
Ogni capitolo della trilogia si concentra su un uomo nel pieno di
una crisi esistenziale – ha una vita solitaria e si nasconde dietro il
proprio lavoro -, che sia un reverendo, un giocatore di carte o, nel
caso di Il maestro giardiniere, un orticoltore.
Al centro di Il maestro giardiniere c’è Narvel Roth, interpretato da
Joel Edgerton.
Narvel, come tanti altri protagonisti di Schrader, è un solitario. È
meticoloso sul lavoro, per il quale si occupa dei terreni di Gracewood
Gardens, una splendida tenuta di proprietà della ricca vedova
Haverhill (Sigourney Weaver).
Quando la problematica nipote dellasignora Haverhill (Quintessa Swindell) arriva a Gracewood, Narvel
si ritrova diviso fra queste due donne, mentre il suo passato, presente
e futuro collidono drammaticamente.
Per Schrader si torna sempre a quell’uomo solo in una stanza. “Si
parte dal giardinaggio, come Il collezionista di carte parte dal gioco
d’azzardo”. Ma questo è solo l’inizio del processo creativo, ha detto
il regista. “Mi sono chiesto: perché questo giardiniere è così isolato
da tutti? Da lì ho pensato al programma protezione testimoni, e
di nuovo una domanda: perché è nel programma? Così l’idea
si è trasformata ed è diventata quella di un assassino al soldo dei
suprematisti bianchi”.
Per Schrader, la storia deve seguire una logica: “Con queste domande
il suo isolamento è diventato del tutto comprensibile. Come gli dice
il suo agente, non si libererà mai da questa ombra, che indossa ogni
giorno sulla propria pelle sotto forma di tatuaggi”.
Pur presentando alcune tecniche narrative simili ai lavori precedenti,
Il maestro giardiniere si discosta da ciò che è venuto prima. “Bisogna
creare un ambiente sociale diverso per ogni film, e farci muovere un
po’ i personaggi. Sta tutto nel trovare sempre nuovi elementi”, ha
detto Schrader.
Sebbene l’impianto della storia assomigli alle precedenti
interpretazioni dell’“uomo solo in una stanza”, il modo in cui
Schrader rivede e manipola il tema produce storie molto potenti.
In Il maestro giardiniere la nozione centrale è la triade, che sia sesso,
razza e genere o la triade di personaggi Haverhill, Narvel e Maya.
Per la prima volta dopo Taxi Driver, Schrader ha inserito due donne
in una di queste storie. “Mi chiedevo cosa sarebbe successo se Betsy,
il personaggio interpretato da Cybill Shepherd, si fosse presa un
caffè con Iris, quello interpretato da Jodie Foster”.
Schrader è inoltre consapevole che ciò che una volta veniva
considerato accettabile sullo schermo è radicalmente cambiato. In
questa prospettiva, ha voluto raccontare la sua storia in un modo che
fosse autentico, ma che rappresentasse allo stesso tempo un riflesso
della società contemporanea. “Non accettiamo più l’idea che un
rapporto tra un uomo di 55 anni con una donna di venticinque anni
sia qualcosa di perfettamente naturale”, ha detto Schrader.
Nel film la Maya di Swindell ha circa venticinque anni, Narvel è
sulla cinquantina inoltrata, mentre la signora Haverhill è la più
anziana dei tre. Schrader voleva che questa differenza di età fosse
evidente all’interno del film. Il maestro giardiniere è un film dove
l’età, il genere e la razza collidono fra loro, generando risultati
esplosivi.
In Il maestro giardiniere, Schrader ha ritrovato molti componenti
chiave della troupe con la quale aveva precedentemente lavorato
in First Reformed – La creazione a rischio e ne Il collezionista di
carte. Innanzitutto Alexander Dynan, che è ritornato ad essere il
suo direttore della fotografia. “Alex, diversamente da me, è molto
puntiglioso. Legge la sceneggiatura e poi realizza i suoi storyboard
personali, con grafici e disegni”, racconta Schrader. “In altri progetti
ho lavorato con direttori della fotografia che non ti seguono allo
stesso modo di Alex. Se commetto un errore, Alex se ne accorge e
me lo segnala immediatamente”.
Schrader ha ritrovato anche come addetto al montaggio Benjamin
Rodriguez, Jr., che aveva lavorato con lui sin da Cane mangia cane
(2016) e lo scenografo Ashley Fenton con cui aveva lavorato per Il
collezionista di carte. “Lavorare con persone con cui hai un rapporto
continuativo rende la fase di pre-produzione molto più semplice”,
racconta Schrader. “Hai sempre bisogno di persone che semplifichino
e rendano efficiente la fase di pre-produzione”.
L’ultimo membro della troupe a lavorare nuovamente con Schrader
è il compositore Devonté Hynes. Per i titoli di coda del film Hynes
ha collaborato con Schrader che aveva trovato il brano perfetto per
il finale. “Una sera navigando su iTunes mi sono imbattuto in una
canzone di S.G. Goodman intitolata ‘Space and Time’ e ho subito
pensato che fosse fantastica”. La produzione si assicurò i diritti
del brano, ma sentimmo che la Goodman, che era una cantautrice
proveniente dalla zona degli Appalachi del West Kentucky, non era
la scelta più adatta per le tematiche trattate dal film. Hynes perciò
contattò Mereba, una cantautrice, rapper e produttrice americana
che ha cantato la splendida versione del brano che si può ascoltare
in chiusura del film.
Come per molti film girati negli ultimi tre anni, la pandemia di
Covid-19 ha avuto un notevole impatto su Master Gardene. Il
film doveva essere inizialmente girato in Australia ma, a causa del
lockdown, la produzione ha dovuto spostare le riprese in Louisiana.
Sebbene ci siano stati molti ostacoli da superare, fra cui dover girare in
un periodo dell’anno precedente alla stagione della grande fioritura,
si sono presentati molti vantaggi. Gracewood, la grande tenuta che
si vede nel film, è stata ricreata unendo insieme le immagini di due
ex piantagioni, Greenwood e Rosedown, trasformate entrambe in
giardini botanici.
Schrader è tornato a Venezia per l’anteprima di Il maestro giardiniere
e per ricevere il Leone d’Oro alla carriera. “È stato bello il film a
Venezia», dice Schrader. «È il quinto film che ho portato alla Mostra
ed è il terzo di fila, quindi è giusto che la trilogia si completi qui”.
Questo ultimo capitolo della trilogia richiama il messaggio della
redenzione ottenuta attraverso l’amore. Lungo il percorso dei tre
film, Schrader ha fatto evolvere ‘il personaggio dell’uomo nella
stanza’ offrendoci prospettive nuove e intriganti sulla sua storia.
Tutti e tre gli uomini trovano la redenzione, ma la trovano spesso a
costo di un prezzo da pagare. Il finale volutamente ambiguo di First
Reformed ha lasciato lo spettatore a chiedersi se Toller fosse vivo o
morto alla fine del film. Ne Il collezionista di carte, William Tell trova
la redenzione, ma il suo comportamento violento lo porta a finire
dietro le sbarre. Con Il maestro giardiniere, Schrader ci offre una
prospettiva differente e forse più incoraggiante, rafforzando l’idea
che l’unica speranza possibile per questi antieroi esistenziali è quella
di trovare l’amore.
(Pressbook Movies Inspired)

Recensione di Pietro Masciullo – sentieriselvaggi.it

Ci sono giardini “formali”, “informali” e “selvaggi”. I primi sottomettono la natura a uno schema fisso inseguendo una perfetta simmetria; i secondi ridiscutono tale prospettiva integrandola romanticamente con i processi naturali; i terzi tendono invece ad azzerare ogni alterazione artificiale liberando definitivamente lo sguardo. In quest’articolata riflessione teorica che il giardiniere Narvel Roth (Joel Edgerton) ci presenta a inizio film, però, una sola certezza appare incontrovertibile: “è impossibile schematizzare la natura”.

Ci risiamo allora. Il cinema di Paul Schrader, da quasi cinquant’anni, ragiona su questi stessi scarti di senso. Muovendosi con rara etica dello sguardo tra forme codificate e rotture improvvise, carceri immanenti ed evasioni trascendenti. Il grandissimo sceneggiatore/regista americano, infatti, ha codificato nel corso dei decenni un archivio di regole ossessivamente ripetute concependo il cinema come una sorta di rituale (del resto, “i soggetti sono solo dei pretesti“, dice il maestro Bresson) aperto a ogni piccola variazione su tema. Ed è proprio intorno a queste deviazioni dallo spartito che puntualmente noi spettatori ci interroghiamo trasformando lo stile cinematografico in una forma di vita. Le immagini in sentimenti.

E arriviamo a Il maestro giardiniere. Dopo i terribili traumi della guerra in Iraq che direttamente o indirettamente influenzavano i protagonisti di First Reformed e Il collezionista di carte, questa volta è il suprematismo bianco di estrema destra il fantasma latente con cui fare i conti. Anni prima, infatti, Narvel ha fatto parte di una violentissima organizzazione paramilitare neonazista. Sino a quando una crisi familiare e spirituale lo ha convinto a denunciare molti dei suoi compagni aderendo a un programma di protezione testimoni e divenendo infine un bravissimo orticoltore. E quale giardino è stato destinato a coltivare? Quello di Norma Haverhill (Sigourney Weaver), una ricca possidente reclusa nella sua enorme villa che da giovane si dilettava addirittura a fare l’attrice. Molti segni, sin dal nome proprio, ci porterebbero lontano… addirittura a pensare alla Norma Desmond di Viale del tramonto. Con il “giardino di Norma” che diventerebbe idealmente il giardino del cinema: uno spazio tutto potenziale dove i fiori (sin dai magnifici titoli di testa) appaiono come immagini eteree e senza sfondo capaci da sole di far balenare il desiderio di una catarsi.

Veniamo al punto. La floricoltura per Narvel, proprio come il cinema per Schrader, è un lento percorso di cura da abbracciare con lancinante sincerità e senza nessun compromesso. L’unico modo per sedare i propri demoni interiori e tentare di dare una forma al caos del nostro mondo. Quindi le regole autoimposte e la disciplina (“lo studio dello storia“) sono custodite nuovamente in un diario come interfaccia spirituale per il protagonista e come segno transtestuale per noi spettatori. Ma questo ancora non basta! I traumi del passato non possono essere cancellati solo dai rituali o dall’ascesi, proprio come gli osceni tatuaggi che Narvel decide volontariamente di lasciare sulla sua pelle perché ancora pressanti nel fuori campo della sua vita. Ci vuole pertanto il coraggio di accedere a una nuova dimensione carnale e spirituale attraverso l’incontro con l’altro da sé. Quindi attraverso un sublime momento rivelatore che apra crepe di vita nella superfice delle cose. Ed eccoci all’irruzione di Maya (Quintessa Swindell), la venticinquenne nipote di Norma: una ragazza che ha un rapporto difficile con la famiglia, un padre afroamericano assente e vari problemi di tossicodipendenza. L’incontro rivoluzionario e inatteso con con l’amore metterà definitivamente alla prova il nuovo sistema di valori di Narvel e la sua commovente fede nella rinascita.

Fermiamoci qui. Perché pur muovendosi con ostinata fiducia nelle riconoscibilissime costanti narrative ed estetiche del cinema di Schrader, Il maestro giardiniere riesce ancora a farci percepire istanze, sentimenti e desideri dei personaggi come fosse la prima volta. Lasciandoci sulle soglie di un finale ossessivamente ripetuto, eppure sempre bellissimo e travolgente per tensione etica e potenza emotiva. Un film posto oltre ogni attualità e per questo intimamente contemporaneo. Oltre ogni presa di posizione ideologica e per questo immensamente politico. Oltre oltre cinefilia compiaciuta e per questo cinefilo nel senso più puro e alto del termine. Insomma, il cinema continua a essere per Schrader quel fertile giardino capace di far germogliare semi ciclicamente uguali in frutti dotati di un’irriducibile singolarità. Quella della nostra di vita.

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