Cine4 – L’ultima volta che siamo stati bambini – dal 24/1 al 26/1

L’ultima volta che siamo stati bambini

mercoledì 24 gennaio ore 21:00

giovedì 25 gennaio ore 15:30 e 21:00

venerdì 26 gennaio ore 21:00

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Regia di Claudio Bisio

Con Alessio Di Domenicantonio, Vincenzo Sebastiani, Carlotta De Leonardis

Genere Commedia, Italia 2023, durata 90’

Classificazione età: T
Sinossi:

Roma, estate 1943.
Quattro bambini giocano alla guerra mentre attorno esplodono le bombe della guerra vera. Italo è il ricco figlio del Federale, Cosimo ha il papà al confino e una fame atavica, Vanda è orfana e
credente, Riccardo viene da un’agiata famiglia ebrea. Sono diversi ma non lo sanno e tra loro nasce “la più grande amicizia del mondo”,
impermeabile alle divisioni della Storia che insanguina l’Europa.

Trailer:

NOTE DI REGIA
Vi è mai capitato di leggere un libro e pensare che quella storia vorreste proprio vederla al cinema, che nonostante l’incisività del racconto non vi bastavano personaggi fatti solo di parole, didascalie e
aggettivi, ma volevate poter vedere persone, facce, voci “vere”?
Beh, a me è successo. E ho avuto la fortuna, la forza e soprattutto la caparbietà, di realizzare questo desiderio.
Quando nei primissimi mesi del 2019 ho letto il libro di Fabio Bartolomei, ho sorriso e pianto.
Quella era una storia importante e racchiudeva una combinazione di emozioni non facili da tenere in equilibrio, ma l’autore ci era riuscito in modo meraviglioso.
Mi sono quindi chiesto: si può raccontare l’orrore senza mai mostrarlo? E lo si può narrare attraverso lo sguardo disincantato e inconsapevole di tre bambini di nove anni?
La sceneggiatura che Fabio Bonifacci ha tratto dal libro, mi ha convinto che sì, era possibile.
Il mondo visto dai ragazzini. Questo è il film. Il cuore di questo racconto è rappresentato dai bambini, dal loro agire, dalle loro parole e pensieri che imprimono alla storia un tono leggero e
ironico. Buffo, malgrado tutto, perché in realtà loro sono serissimi.
I quattro bambini che giocano alla guerra nella Roma del 1943 (questa storia è stata scritta e pensata prima della guerra in Ucraina, ma quando nel film si vedono bambini con fucili di legno che si
“ammazzano per finta” come non pensare ad alcune immagini reali viste in televisione in questi mesi?) sono amici, hanno fatto tra di loro un “patto di sangue” (… anzi, di “sputo” perché tagliarsi il
palmo della mano con un coltello fa troppa paura). Hanno giurato di aiutarsi sempre, qualunque cosa accada. E quando uno di loro scompare – Riccardo, il bambino ebreo -, per gli altri tre è
naturale andare a salvarlo.
La loro impresa, noi adulti del 2023 lo sappiamo bene, è disperata, ma per loro no. I loro ragionamenti, e di conseguenza le loro azioni, seguono una logica molto lineare, infantile ma a suo
modo scientifica, quasi ovvia.
E questo può provocare in noi adulti, consapevoli di come sono andate le cose, sorriso o commozione.
Questa è la vera scommessa. Cercare leggerezza di racconto, di dialoghi e di recitazione in un contesto tragico come quello della seconda guerra mondiale, in un’Italia ormai occupata dai nazisti,
con i soldati italiani allo sbando e con i treni carichi di ebrei e dissidenti che partono verso nord.
Un road movie, quindi, che racconta l’amicizia, quella dell’infanzia, intesa quale momento della vita in cui si creano legami indissolubili. E una storia che li farà crescere molto, troppo in fretta, fino a
fargli tristemente realizzare che quei tre giorni sono stati davvero l’ultima volta che sono stati bambini.
Un film su un dramma a cui fra poco le nuove generazioni non potranno più avere accesso attraverso i racconti di coloro che ne furono vittime. Un film sulla memoria, perché solo la memoria
può (forse) proteggerci da altri orrori, da altri genocidi.
Preparando il film mi è stata certamente di aiuto e conforto la visione di film come Jojo Rabbit, Train de vie, La vita è bella, Un sacchetto di biglie… ma anche Il signore delle mosche, I ragazzi
della via Pal e persino I Goonies!
Non mi voglio dilungare sulle scelte “registiche” di luci, ambienti, inquadrature. Posso solo dire che ci è voluto davvero poco per riuscire a comunicare e convincere tutti i miei bravissimi collaboratori
che non volevo fare un film “realistico”, ma neppure una “favola” e così ecco una prima parte romana lievemente decolorata a contrasto con i colori più vividi del viaggio. Ecco quindi scenografie
ricostruite in studio a raccontare il cortiletto angusto nel quale i bambini giocano, accanto ad ambienti veri (vera è Trastevere, vero l’orfanotrofio). Ecco costumi che raccontano i personaggi con
tessuti d’epoca, pezzi unici insomma, accanto però a scelte “fantastiche” quali la divisa da “balilla sommozzatore” che Vanda e Cosimo cuciono in una notte usando una tovaglia a quadretti. Ecco
infine la macchina da presa, quasi mai ferma, con qualche piano sequenza ardimentoso per la messa in scena tra tedeschi, camionette in viaggio e messa a fuoco sui vari personaggi, ma anche disposta a
fermarsi quando i bambini riempiono la scena con le loro azioni.
La fase forse più lunga e complessa è stata proprio la ricerca dei bambini. Decine e decine di incontri e provini, perché non si trattava solo di trovare “facce giuste”, ma di scegliere i protagonisti del film.
Quattro bambini che avrebbero dovuto affrontare pagine fitte di dialoghi che spesso prevedevano un ritmo quasi da commedia, ma anche intensi monologhi. Insomma, prove da attori “consumati”,
oppure da attori “in fieri” però con grande talento e disponibili a mettersi in gioco singolarmente, ma anche pronti a fare squadra.
Proprio per questo, una volta scelti i quattro protagonisti e prima di iniziare le riprese, ci siamo ritrovati tutti per una settimana in un casale toscano per un bootcamp (termine colloquiale inglese
che indica l’addestramento militare delle reclute; per estensione indica anche un campo di addestramento, di qualunque tipo): non amo usare termini inglesi, ma in questo caso rende molto
bene l’idea di quello che abbiamo fatto. Un lavoro al quale si sono uniti – con generosità, intensità e leggerezza commoventi – i due attori “adulti” e cioè Federico Cesari e Marianna Fontana
(cinquant’anni in due).
Devo ammettere che esordire con una storia ambientata negli anni quaranta, durante la guerra, con protagonisti dei bambini che attraversano l’Italia a piedi (e come mascotte portano con sé una
gallina), non è stata la scelta più facile. Ma grazie alla collaborazione di tutte le persone sul set siamo riusciti a superare le difficoltà di galline che non volevano stare ferme, treni che non partivano e
bambini che dopo un tot di ore, giustamente, volevano “riposarsi” giocando a pallone.
Per finire due parole sulla squadra che mi ha supportato in questa mia “prima volta”. Tutti amici, ma soprattutto grandi professionisti che ho incontrato in questi quarant’anni di lavoro come attore.
E quindi da Italo Petriccione alla fotografia, a Paola Comencini alla scenografia, Beatrice Giannini ai costumi, Luciana Pandolfelli al montaggio, Pivio e Aldo De Scalzi alle musiche, ma anche l’aiutoregista
Leopoldo Pescatore, gli operatori Fabrizio Vicari e Emanuele Chiari, l’organizzatore Giuseppe Pugliese… lascio a voi cercare nei nostri rispettivi curricula dove e quando ci eravamo già
incontrati (e ovviamente stimati).
Senza dimenticare le tre persone che mi hanno davvero “convinto” a provarci, intendo dire a realizzare questo film come regista, e cioè Sandra Bonzi (che, tra le altre cose, mi ha fatto conoscere
il libro di Bartolomei), Massimo Di Rocco, un prezioso amico e un produttore che come lui stesso ama dire “ha mangiato più cestini di tutti gli altri”, cioè un uomo del fare, un risolutore di
problemi, e in questo lavoro i “problemi” sono all’ordine del giorno e sempre in agguato. E Giampaolo Letta, al quale un Natale di qualche anno fa regalai il libro di Bartolomei dicendogli che
avevo opzionato i diritti per farne un film e lui quarantotto ore dopo mi telefonò dicendo con entusiasmo: “Facciamolo!”.
Claudio Bisio

NOTE DI SCENEGGIATURA
Coltivare memoria della Shoah e della II guerra mondiale è importante e anche bello ma non facile dopo tanti racconti in materia. Il libro di Fabio Bartolomei ci è parsa l’occasione per trovare uno
sguardo originale su queste vicende: il punto di vista innocente e fantasioso di tre bambini che si vedono portar via un loro amico ebreo e, come in uno dei loro quotidiani giochi in cortile, decidono
di partire in “missione” in Germania per convincere i tedeschi a liberarlo.
Nasce così il doppio tono del film, che è commedia di bambini all’avventura ma anche racconto di tragedie storiche e personali (“l’amico rubato”). È spensierata incoscienza dell’infanzia e cruda
concretezza dell’Italia devastata del ’43, racconto di iniziazione alla vita accompagnato dall’ombra continua della morte. È divertimento e groppo in gola, gioia e dolore, scoperta del mondo, terrore
fantasioso per inesistenti spiriti notturni e sangue gelato alla vista dei cadaveri reali. È un’esaltante esperienza di libertà che si compie cercando il più lugubre e spietato luogo di prigionia mai esistito.
La caratteristica principale di questa sceneggiatura sta forse proprio nella ricerca di un particolare equilibrio fra commedia e tragedia, qua compagne di viaggio inseparabili.
Il viaggio avventuroso nell’Italia ferita fisicamente e moralmente dalla guerra e dal fascismo è però anche un’esperienza potente dal punto di vista emotivo: dunque un’ottima occasione per porre ogni
personaggio davanti a sfide che lo costringano ad andare al fondo di se stesso, scoprire chi è davvero, sia personalmente che in relazione agli altri.
Ne è uscita una storia di formazione che non riguarda solo i tre bambini in “missione” ma anche i due adulti che li seguono per riportarli a casa: un soldato e una suora che, partiti con identità ben
definite e forgiate dal ferro dei tempi, dovranno confrontarsi coi lati nascosti e imprevisti della loro natura e delle loro reali emozioni.
Nessuno tornerà da questo viaggio uguale a come era partito, e qualcuno forse non riuscirà proprio a tornare.
Ultima nota personale: lavorare con Bisio è stato un vero piacere. Il mio lavoro di scrittura e il suo come attore si erano già incontrati -credo non per caso- su tanti film e serie, ogni volta avevamo
scambiato opinioni trovandoci spesso d’accordo. Quindi, anche se era la prima volta che lavoravo con lui come regista, c’è stata fin dall’inizio una grande comunione di intenti, sembrava avessimo già
fatto 10 film insieme.
Colgo l’occasione per dire una cosa che ho già detto a lui: forse ha aspettato un po’ troppo ad esordire perché con questo film, a mio parere, Claudio Bisio si rivela anche un ottimo regista.
Fabio Bonifacci
(pressbook Medusa Film)

Recensione di Francesco Ombres – Madmass.it

«Il titolo, a dir poco esplicativo, potrebbe lasciar pensare a un dramma o a quello che verrebbe definito da qualcuno un “mattone”. Invece Bisio confeziona una piccola sorpresa. Il film è una commedia divertente ambientata nell’ultimo periodo di dominazione fascista in Italia. La storia si divide in due percorsi paralleli accomunati da obiettivi e, inaspettatamente, anche da tematiche simili. Tre bambini sono alla ricerca del loro amico ebreo appena deportato. Il loro candore li porterà a seguire i binari del treno non essendo consapevoli di ciò che sta realmente accadendo. Dall’altra parte, invece, c’è un giovane ufficiale che intende riportare a casa il fratello scomparso, uno dei tre bambini. Il giovane verrà accompagnato da una suora caparbia che, come lui, metterà in dubbio i dogmi della Chiesa in questo Road Movie. Allo spettatore viene da domandarsi durante la visione se, a volte, non sia meglio vedere il mondo come fanno i bambini protagonisti. Perché da piccoli è tutto molto più semplice, o bianco o nero. È interessante come il film non tratteggi nessuna “fazione” come totalmente cattiva o totalmente buona. Perché crescendo, ce ne dimentichiamo e tutto diventa grigio. Il regista tratteggia bene questo fattore e la storia è ben costruita. Le sequenze tra adulti e i ragazzini sono raccordate da un ottimo montaggio e ogni sequenza è legata all’altra da un dialogo, da una tematica o da una situazione simile. Questi sono fattori da non dare per scontati. Una sceneggiatura classicamente costruita è meglio di tante situazioni a vuoto o fiumi di parole che non arricchiscono i personaggi e sprecano solo minutaggio. Il film ha una durata giusta per ciò che deve raccontare, un ritmo ben cadenzato e un finale che potrebbe lasciare a bocca aperta. Un plauso va fatto anche per le interpretazioni. I piccoli protagonisti – Alessio Di Domenicoantonio, Vincenzo Sebastiani e Carlotta De Leonardis – reggono la maggior parte del film. I tempi comici tra loro sono ottimi, diretti da un Claudio Bisio che sappiamo esperto nella commedia e qui la sua mano si sente. Il giovane ufficiale è interpretato da Federico Cesari che, dopo Skam Italia, si spera mantenga sempre questo livello di recitazione e, anzi, che cresca ancor di più. Marianna Fontana è la suora. Un personaggio saggio, comico che ha una buona alchimia con l’ufficiale fascista. Non bisogna negare neanche il lavoro di ottimi attori caratteristi che creano un’ambientazione a cui lo spettatore crede. I volti sono tutti credibili, le ricostruzioni appaiono sporche e devastate dalla guerra, oppure austere, come dovevano essere all’epoca e la regia è efficace nel rappresentarla. Nessun guizzo esagerato o voglia di strafare. Bisio si dimostra umile e saggio e punta tutto sulla recitazione, perché sì, un ottimo regista deve dirigere anche gli attori, non saper solo fare movimenti di macchina strabilianti. L’ultima volta che siamo stati bambini, tratto dall’omonimo libro di Fabio Bartolomei, mantiene un eccellente equilibrio tra momenti comici e drammatici. Si susseguono emozioni, passando dalla commozione alle risate, grazie alla dolcezza e all’ingenuità dei tre bambini. Potrebbe rappresentare un eccellente film educativo da proiettare nelle scuole per spiegare temi complessi come l’Olocausto o il fascismo. Da non sottovalutare. Offre la possibilità di trascorrere meno di due ore al cinema ed uscirne arricchiti.

Un ottimo esordio per Bisio e gli si augura di continuare così.»