Cine 4 – Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità

Cine 4 – Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità

(Van Gogh – At Eternity’s Gate)

mercoledì 19 febbraio ore 21 – giovedì 20 febbraio ore 15.30 e 21

  • Coppa Volpi per il Miglior Attore a WILLEM DAFOE alla 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2018)
  • Satellite Awards 2019 Miglior attore in un film drammatico a Willem Dafoe.
  • Candidato ai Golden Globes 2019 per il Miglior Attore in un film drammatico (Willem Dafoe).
  • Candidato ai Premi Oscar 2019 per Miglior attore a Willem Dafoe.
  • Critics’ Choise AWard 2019 candidatura per Miglior attore a Willem Dafoe.
Genere: Biografico – Drammatico
Regia: Julian Schnabel
Interpreti: Willem Dafoe (Vincent van Gogh), Oscar Isaac (Paul Gauguin), Mads Mikkelsen (Sacerdoce), Rupert Friend (Theo van Gogh), Mathieu Almaric (Dottor Gachet), Emmanuelle Seinger (Madame Ginoux) Niels Arestrup (Arestrup), Victor Pontecorvo (Figlio del fattore), Frank Molinaro (Henri de Toulouse-Lautrec), Alan Aubert (Albert Aurier)
Nazionalità: F/CH/GB/IRL/USA
Distribuzione: Lucky Red
Anno di uscita: 2018
Data uscita Italia 3 gennaio 2019
Origine: Francia
Soggetto: Julian Schnabel, Jean-Claude Carrière
Sceneggiatura: Julian Schnabel, Jean-Claude Carrière
Fotografia: Benoît Delhomme
Musiche: Tatiana Lisovkaia
Montaggio: Louise Kugelberg, Julian Schnabel
Scenografia: Stéphane Cressend
Costumi: Karen Muller Serreau
Durata: 120′
Produzione: Jon Kilik per Iconoclast, Riverstone Pictures, SPK Pictures
Tematiche: Arte, Famiglia, Storia
Valutazione: Complesso, Problematico, Adatto per dibattiti

Soggetto:

Il racconto degli ultimi anni di vita di Vincent van Gogh, tra momenti creativi, riflessioni sul senso dell’arte, della vita, nonché profonde crisi esistenziali. Una fusione tra pagine storiche, ipotetiche e di finzione, dove trova posto anche un parallelismo – in un dialogo tra van Gogh e un sacerdote – tra la figura di Gesù e quella dell’artista…

Valutazione Pastorale:

Newyorkese classe 1951, Julian Schnabel è anzitutto un pittore, approdato poi con successo al cinema mantenendo sempre un approccio stilistico fortemente influenzato dal mondo della pittura. Dei suoi film si ricordano “Basquiat” (1996) e l’acclamato “Lo scafandro e la farfalla” (2007). Alla Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, edizione 75, ha portato un omaggio al pittore olandese Vincent van Gogh, affidando il ruolo del protagonista al poliedrico Willem Dafoe, premiato con la Coppa Volpi. Affrontando un personaggio certo non inedito al cinema come van Gogh, uomo e artista, Schnabel non può far finta di dimenticarsi di essere lui stesso pittore e regista. Prova a tenere sotto controllo i due versanti, ma non sempre ci riesce; e dopo molte incertezze, indovina senza dubbio il ritratto del pittore olandese ma perde di vista il contatto con il film, che risulta fin troppo lineare e didascalico. Al di là però del racconto non troppo amalgamato, il regista riesce a conquistare per il modo in cui costruisce le inquadrature, pensate appunto come dipinti, che si caricano progressivamente delle tonalità cromatiche di van Gogh, in primis il giallo. Una regia spesso giocata in soggettiva, quasi a spingere lo spettatore a comprendere fino in fondo tormenti e slanci autentici di un artista. Bellissima e poetica l’inquadratura finale, di congedo, dove van Gogh è avvolto dalle sue creazioni. Dal punto di vista pastorale, l’opera è complessa, problematica e adatto per dibattiti.

Utilizzazione:

Il film è certamente utile per approfondimenti il rapporto cinema e pittura. Può essere utilizzato in programmazione ordinaria, tenendo conto degli elementi problematici del film.

Scarica qui la nostra scheda del film

Critica:

Si può arrivare lontano attraverso la pittura? L’arte in genere è capace di descrivere la vita andando a scavare in profondità? Può anche afferrarla fino a sconvolgerla? A queste domande, ma non solo, sembra rispondere Julian Schnabel (che ricorderemo tutti per il suo splendido «Lo scafandro e la farfalla» del 2007) con il film «Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità» presentato all’ultimo Festival del cinema di Venezia. Un’opera oltre il classico «biopic» sul pittore olandese che ha segnato la storia con la bellezza e straordinarietà dei suoi quadri, un lavoro di pura immaginazione ispirato alla vita e alla leggenda stessa di Vincent Van Gogh, soprattutto degli ultimi suoi tormentati anni passati in amicizia con Paul Gauguin o nell’ospedale psichiatrico, confortato dalla presenza amorevole del fratello. Un ritratto poetico, drammatico, segnato da uno sguardo attento e profondo rivolto a partire dalle sue tele. Schnabel, grazie anche alla sceneggiatura scritta insieme a Jean-Claude Carrière e Louise Kugelberg, ne fa una rilettura di tutto rispetto. L’interpretazione di Willem Dafoe poi, nei panni del protagonista, che ha meritato il premio della Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile, non fa che aggiungerne pregio. Colori, luci, paesaggi si amalgamano perfettamente in un racconto «disturbato» che sa far entrare lo spettatore in un tempo «altro», dettato dallo stupore. Un approccio completamente nuovo che arriva a dire quel «non detto» che ha sempre meravigliato migliaia di visitatori da ogni parte del mondo, accorsi per vedere i quadri «originali» dell’indiscusso maestro. Più che un film da gustare, potremmo dire un’esperienza da «vivere». Non solo gli occhi, infatti, ne giovano poiché qui è l’animo che ne viene letteralmente coinvolto. Una chicca su tutte: il dialogo con il prete. (Gianluca Bernardini, sdc.it)

Van Gogh ha le tele e il treppiedi sulle spalle a mo’ di zainetto, cammina svelto attraversando i campi di grano, e lo spettatore in quei primi piani ossessivi cammina con lui, accecato dal sole della Provenza che penetra nello schermo. Si siede, allarga le braccia come Cristo in croce, mentre il vento sferza il grano giallo, e pensi che Willem Dafoe (è lui a ridargli vita) aveva portato la passione di Gesù al cinema, prendendosi una pausa dai suoi ruoli di carnefice. Qui torna borderline, col suo volto lavorato dal tempo, la fronte solcata dalle rughe. L’attore americano ha 63 anni, Van Gogh 37 quando morì, eppure la differenza d’età, sotto il cappello di paglia che portava come una divisa, non si nota proprio. Accolto da un grande applauso, ‘At Eternity’s Gate’ è un viaggio nella mente di Vincent Van Gogh: è il ritratto personale di Julian Schnabel (lo ha scritto con Carrière) che non è solo regista ma pittore, l’omaggio di un artista a un altro artista.” (Valerio Cappelli, Corriere della Sera)

Sulla carta avremmo dovuto vedere un film con protagonista fuori di testa ma sulla tela dipinta da Julian Schnabel il Vincent Van Gogh interpretato da Willem Dafoe (si ricorda un suo catastrofico Pasolini nel 2014) è fin troppo serafico e arrogante, come se sapesse che nel 1987 una sua opera verrà valutata 134 milioni di euro, mentre un secolo prima tutti le consideravano delle croste «brutte e sgradevoli». Forse è anche colpa di quella insopportabile frangetta da damerino (ma perché?) se dopo quelli interpretati da Martin Scorsese, Benedict Cumberbatch, Kirk Douglas e Tim Roth (il migliore per Vincent e Theo di Altman) questo Van Gogh di Schnabel e Dafoe risulta l’artista matto più noiosamente tranquillo della storia del cinema. I co-protagonisti? Gauguin è un trombone ipocrita, il fratello Theo affettuoso ma sempre a distanza e Pissarro un baby sitter del nostro Vincent, nonostante l’accudito non dica mai nulla di strano o provocatorio. Niente di catastrofico (c’è di peggio, qui) ma questo biopic sul post-impressionista è per non impressionare il pubblico delle elementari.” (Francesco Alò, Il Messaggero)

Ci vuole coraggio e tanta ambizione per portare ancora una volta al cinema la storia di Vincent Van Gogh dopo i film, tra gli altri, di Vincent Minnelli, Robert Altman e Maurice Pialat. Ma Julian Schnabel, il cui ego è grande come le tele che l’hanno reso celebre, da pittore ama confrontarsi con i suoi colleghi grandi e più piccoli. Ha iniziato al cinema nel 1996 con ‘Basquiat’ e ora torna sul grande schermo, e applaudissimo in concorso al festival di Venezia, con ‘At Eternity’s Gate’ che vede come protagonista assoluto, nei panni del grande pittore olandese, Willem Dafoe: «È la persona a cui avevo pensato da subito. Ci conosciamo da trent’anni e l’ho visto tante volte aiutare gli altri attori a recitare, sapevo che sarebbe stato il mio migliore alleato». Il regista sceglie di soffermarsi sugli ultimi e più tormentati anni di Van Gogh, dal rapporto – bello ma complicato – con Gauguin (Oscar Isaac) fino al colpo di pistola che gli ha tolto la vita a soli 37 anni. (…) sia a Schnabel che al suo grande sceneggiatore Jean-Claude Carrière interessava di più rappresentare l’artista nell’atto del dipingere per cercare di mostrare la difficilissima emozione pittorica: «Penso di aver detto tutto quello che si poteva dire della pittura in questo film. Sono un pittore da quando sono piccolo e so tante cose su Van Gogh ma tutto questo, comprese le informazioni e gli studi sulle lettere e sui diari, sono stati solo un punto di partenza. Quello che volevo veramente mostrare era l’assenza di pensiero che Van Gogh diceva di provare mentre dipingeva. Per lui era una forma di meditazione. lo ho cercato di mettere in scena, con un approccio sensoriale, l’equivalente delle sensazioni che si possono avere quando si vede un’ opera di arte», dice il regista che si è presentato in conferenza stampa in maniche di camicie e pantaloni corti. A sorpresa il Van Gogh che viene fuori dal film, che uscirà in Italia il 3 gennaio del prossimo anno con Lucky Red, è quello di un uomo certamente tormentato ma non poi così matto come il mito vorrebbe: «Se guardiamo ai suoi dipinti e leggiamo le sue lettere è evidente che lui fosse lucido e sapeva esattamente dove era. Aveva però capito che non sarebbe andato tanto avanti nella vita e per questo era molto interessato a mettere nella pittura il riferimento al suo rapporto con l’eternità». Da qui il titolo originale del film Sulla soglia dell’eternità. (Pedro Armocida, Il Giornale)

Si poteva pensare che con Willem Dafoe circondato da Oscar Isaac, Rupert Friend, Mads Mikkelsen, Emmanuelle Seigner e tanti altri, il film di Schnabel su Vincent van Gogh potesse essere poco più che una sfilata di star. Ma non è così. Non è neanche una biografia. I fatti e i personaggi, più o meno noti, sono usati come una guida per entrare in profondità nel confronto del pittore con se stesso. (Marie-Noëlle Tranchant, Le Figaro)

Dopo Basquiat, Van Gogh. Rari sono i pittori che fanno cinema. Ancor meno quelli che con il cinema scandagliano opere e vite altrui. Fa eccezione Julian Schnabel, regista diseguale ma spesso notevole, che al pittore più visto sugli schermi dedica il suo secondo film su un artista. Non un banale “biopic” ma un corpo a corpo con le ossessioni di colui che Artaud definì «il suicidato della società». (Fabio Ferzetti, L’Espresso)

A Venezia, il Van Gogh di Julian Schnabel è stato preso sotto gamba, ma se la giuria ha assegnato la coppa Volpi a Willem Dafoe (attualmente in gara ai Golden Globe) per la sua ispirata interpretazione, significa che il copione ha saputo dare giusto spessore al personaggio; e questa è una delle rare volte in cui il biopic di un’artista ne evidenzia con sensibilità la visione poetica. (Alessandra Levantesi, La Stampa)

Quanta energia, quanta intensità, quanta sofferenza nella creatività del Vincent van Gogh di Julian Schnabel, ennesima versione cinematografica di un artista col quale in passato si sono confrontati Minnelli, Altman, Pialat, Kurosawa. È più che probabile che l’arte di Van Gogh nascesse per davvero da una meditazione sulle forme nascoste del creato tanto febbrile quanto quella descritta dalla regia di Schnabel (artista egli stesso, non dimentichiamolo) e incarnata in maniera così volenterosa e in fondo credibile da Willem Dafoe. (Roberto Manassero, Film TV)

Speravamo che Julian Schnabel, artista in proprio, evitasse i luoghi comuni sul mestieraccio. Invece gli piacciono proprio – dall’ispirazione ai tormenti, dalla vita grama e alla società che non apprezza l’arte: “Van Gogh” funziona come l’autoritratto del regista nei panni di Van Gogh. Con molte licenze poetiche: Julian Schnabel non ha avuto vita grama, vive servito e riverito dalla critica in un bel palazzotto color rosa lecca lecca a New York. (Mariarosa Mancuso, Il Foglio)

Le ossessioni, il genio, la fragilità di Vincent Van Gogh visti attraverso gli occhi del pittore e regista Julian Schnabel: “Sulla soglia dell’eternità” è un viaggio imperdibile negli ultimi anni che il pittore olandese, trascorsi nella campagna di Arles e poi a Auvers-sur-Oise, vicino Parigi, dove morì nel 1890. Van Gogh, scolpito nel volto asciutto di Willem Dafoe, arrivò ad Arles nel 1888 perché, stufo della luce grigia del nord, voleva dipingere “quadri luminosi, dipinti in pieno sole”. E così fece, estasiato dai paesaggi caldi di colore della Provenza, preso da una febbre di creazione che lo portava a perdere il controllo: «I quadri vanno fatti con un solo gesto netto ad ogni pennellata», diceva all’amico pittore Paul Gauguin (Oscar Isaac), che invece gli suggeriva di andare con calma, impostare colori e figure. (Elisa Grando, Il Piccolo)

Osservare un paesaggio lo fa pensare all’eternità e ogni volta osserva qualcosa che non aveva notato in precedenza. È questo il Vincent van Gogh raccontato nei suoi ultimi anni in «Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità» di Julian Schnabel. Una pellicola presentata in concorso alla Mostra di Venezia, dove ha ottenuto la Coppa Volpi per il miglior attore protagonista Willem Dafoe. (Nicola Falcinella, L’Eco di Bergamo)

Il rapporto non facile con Gauguin (Oscar Isaac), la custodia affettuosa del fratello Theo (Rupert Friend), sopra tutto lui: Vincent Van Gogh, un assai somigliante Willem Dafoe. 22 anni dopo Basquiat – e otto dall’ultima regia, Miral – l’artista Julian Schnabel porta sul grande schermo un altro celeberrimo collega, forse il più celebre: l’inquieto pittore olandese è inquadrato nell’ultimo periodo della sua breve vita – se ne è andato nel 1890 per un colpo di pistola – tra iperproduttività, “sana follia” e zero vendite delle sue tele. (Federico Pontiggia, La Rivista del Cinematografo)

Sulle problematiche relative ai rapporti fra pittura e cinema sono stati scritti numerosi saggi e volumi. Il cinema, ovviamente, si è posto questo problema innumerevoli volte (ed è inutile stare a elencare titoli e opere tanto è vasto l’ elenco…). Julian Schnabel, pittore e regista, nell’affrontare Van Gogh, uno degli artisti più documentati e raccontati, adotta una soluzione a dir poco sconcertante per dare conto dell’indicibilità del magistero del pittore. Concentrandosi sugli ultimi quattro anni di vita dell’artista, Schnabel si inventa un maldestro action -filming che dovrebbe imitare l’inafferrabile vitalità del pennello mentre si muove sulla tela dando vita a una pittura che Gauguin considerava prossima alla scultura. (Gioia A. Nazzaro, Il Manifesto)

Due artisti fanno un’opera d’arte? Che Vincent Van Gogh e Julian Schnabel siano artisti è assodato, meno che il film che li unisce sia un’opera d’arte. Tra i due (non) belligeranti, in realtà, più che Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (At Eternity’ s Gate in originale) la spunta l’attore protagonista, Willem Dafoe: già Coppa Volpi a Venezia, candidato ai Golden Globes – unica nomination del film – e a una pletora di riconoscimenti critici, lo troveremo con ogni probabilità nella cinquina degli Oscar, e chissà che non possa finalmente aggiudicarselo. (Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano)

Van Gogh e i suoi ultimi tormentati anni di vita, fino al fatidico colpo di pistola che gli fu fatale. Quello di Schnabel, però, è un film che va al di là della semplice biografia, prefiggendosi di ritrarre, se mai possibile, lo stato animo dell’artista nel momento della creazione dei suoi quadri. (Maurizio Acerbi, Il Giornale)