Cine 4 – Grazie ragazzi

Cine 4 – Grazie ragazzi

  • mercoledì 21 giugno 2023 ore 21
  • giovedì 22 giugno 2023 ore 15.30 e 21
  • venerdì 23 giugno 2023 ore 21

Acquista QUI il tuo biglietto

Genere: Commedia, Drammatico
Regia: Riccardo Milani
Interpreti: Antonio Albanese (Antonio), Fabrizio Bentivoglio (Michele), Sonia Bergamasco. (Laura), Vinicio Marchioni (Diego), Giacomo Ferrara (Aziz), Giorgio Montanini (Mignolo), Andrea Lattanzi (Damiano), Nicola Rignanese (Ettore), Imma Piro (Giudice), Gerhard Koloneci (Christian), Bogdan Iordachioiu (Radu), Liliana Bottone (Marianna)
Nazionalità: Italia
Distribuzione: Vision Distribution
Anno di uscita: 2023
Data uscita Italia 12 gennaio 2023
Soggetto e Sceneggiatura: Tratto dal film “Un triomphe” di Emmanuel Courcol, la sceneggiatura è firmata da Michele Astori, Riccardo Milani
Fotografia: Saverio Guarna
Montaggio: Patrizia Ceresani, Francesco Renda
Musiche: Andrea Guerra
Durata: 117’
Produzione: Carlo Degli Esposti, Nicola Serra, Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa. Casa di produzione: Palomar, Wildside, Vision Distribution, Sky, Prime Video e Teodora Film
Tematiche: Amicizia, Carcere, Dialogo, Donna, Educazione, Emarginazione, Famiglia, Famiglia – genitori figli, Giustizia, Il comico, Lavoro, Metafore del nostro tempo, Politica-Società, Povertà, Solidarietà, Teatro
Valutazione: Brillante, Consigliabile, Adatto per dibattiti

Soggetto:

Velletri, Roma oggi. Antonio (Albanese) è un attore teatrale che sbarca il lunario tra piccoli ruoli e il doppiaggio di film a luci rosse. È nelle secche della vita, senza troppi slanci verso il futuro. Il regista Michele (Fabrizio Bentivoglio), un amico di vecchia data, gli propone di dirigere un laboratorio teatrale in carcere, formando alcuni detenuti senza esperienza. Dopo qualche esitazione Antonio accetta, sotto lo sguardo vigile della direttrice della casa circondariale Laura (Sonia Bergamasco). Alle prove si presenta solo una manciata di detenuti: Aziz (Giacomo Ferrara), Mignolo (Giorgio Montanini), Damiano (Andrea Lattanzi) e il temibile Diego (Vinicio Marchioni); a questi si aggiunge l’aiutante di scena Radu (Bogdan Iordachioiu). Prova dopo prova, Antonio ritrova l’entusiasmo nel suo lavoro e propone loro il testo di Beckett “Aspettando Godot”. Una scommessa forse azzardata, che però cambierà la vita di tutti.

Valutazione Pastorale:

Riccardo Milani non sbaglia un colpo. Più passa il tempo, più si coglie una traiettoria ben precisa del suo cinema come pure della serialità che ha diretto (“Una grande famiglia”, “È arrivata la felicità”): storie di respiro sociale, con tutta la gamma di sfumature problematiche correlate, declinate lungo il tracciato della tradizione della commedia all’italiana. Racconti brillanti, tragicomici, che strappano il sorriso e offrono non poche suggestioni sul nostro presente. Per citare alcuni suoi riusciti titoli: “Scusate se esisto!” (2014), “Come un gatto in tangenziale” (2017, 2021) e “Corro da te” (2022). Ultimo arrivato è “Grazie ragazzi”, prodotto da Palomar e Wildside, in collaborazione con Sky, Teodora Film e Prime Video. Il film è il remake del francese “Un triomphe” (2020) di Emmanuel Courcol, ma soprattutto è il racconto di una storia vera avvenuta quasi quarant’anni fa in Svezia: l’esperienza di un laboratorio teatrale in un carcere per la messa in scena di “Aspettando Godot” del Premio Nobel Samuel Beckett. Insieme allo sceneggiatore Michele Astori, Milani lo ha riadattato tenendo conto del contesto italiano e scegliendo come attore capofila Antonio Albanese, che ha messo in campo un ventaglio di sfumature convincenti, tra note dolenti e lampi comici irresistibili. “Grazie ragazzi” è un film che funziona, conquista tra battute brillanti, ben inanellate, e riverberi sociali dolenti. A ben vedere la commedia sembra avere quasi due o tre atti. Una prima parte richiama immediatamente il poetico film dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani “Cesare deve morire” (2012) – Leone d’oro al Festival di Berlino – ma subito dopo “lo supera”: lì veniva raccontato il percorso di messa in scena teatrale del “Giulio Cesare” di William Shakespeare a Rebibbia, sino al debutto; in “Grazie ragazzi” si va oltre raccontando la prima, le repliche e persino la tournée nei teatri del Centro Italia. Poi il finale, che affascina e spiazza, con una suggestione aulica e un retrogusto di diffusa amarezza che però non riveleremo. Il film è di certo riuscito, coniugando alto e basso, realismo e dinamiche da commedia brillante. La regia di Milani si sente nella sua agilità e solidità, come pure la presenza di un buon copione vivace. A dare corpo all’opera sono poi gli attori, tutti molto validi, di grande mestiere: accanto al già citato capocomico Antonio Albanese tengono bene il passo Sonia Bergamasco, Fabrizio Bentivoglio e Vinicio Marchioni. Ottimi! Infine, non va dimenticato che “Grazie ragazzi” è un’opera che mette a tema la vita nelle carceri, il bisogno di vedere tali strutture non solo come luoghi di detenzione ma (soprattutto) come spazi di recupero, di cambiamento. Un cambiamento che può partire dalla cultura, dall’arte, dal teatro, un cambio di rotta esistenziale che apre alla salvezza. Il testo “Aspettando Godot”, tra i punti di riferimento del teatro dell’assurdo, funziona dunque bene nel film come cassa di risonanza della condizione dei detenuti: esistenze in perenne attesa che il tempo passi e si schiuda per loro una possibilità altra. Che arrivi Godot! Nelle sale italiane in 450 copie con Vision Distribution, il film “Grazie ragazzi” risulta una bella proposta di intrattenimento e al contempo di riflessione. Consigliabile, brillante, per dibattiti.

Utilizzazione:

Indicato per la programmazione ordinaria e adatto per approfondimenti sul valore della cultura, dell’arte, nel percorso formativo e di riscatto nelle carceri.

Critica:

Il talento, forse, non è di tutti, ma quando in gioco si mette la passione allora la questione cambia. Lo sa bene Antonio Cerami (Antonio Albanese, perfettamente nel ruolo) che, da attore professionista di poco successo, per sbarcare il lunario accetta l’incarico di tenere un corso di teatro in carcere (le location scelte sono Rebibbia e Velletri). Un’impresa titanica che presto, però, gli prenderà il cuore, tanto da investire tempo ed energie per ciò che più ha appassionato la sua vita. Riccardo Milani, ormai regista collaudato per la commedia italiana, torna a girare questa volta un remake del film francese “Un thriomphe” (2020) su una vicenda realmente accaduta in Svezia nel 1985, tratteggiando però un quadro che sa andare al di là del sorriso, con quel suo tocco umano che ne fa un’opera più che piacevole. In scena, infatti, non solo la fatica di inserire dei detenuti, lontani dal mondo dell’arte e dello spettacolo, dentro il linguaggio del teatro (un vero e proprio omaggio!), ma la voglia di riscattarsi, di essere sé stessi, di riscoprire quella parte migliore che a volte, per vicende avverse, è venuta meno. Resta però nel nostro profondo e chiede solo la mano di qualcuno o di qualcosa che possa risvegliarla. Lo spettacolo scelto per i detenuti, “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, ben si addice alla loro condizione. Ha al centro quel “senso dell’attesa” che ogni carcerato ben conosce. A volte basta “una scintilla”, come afferma il regista romano, per poter cambiare il corso della propria esistenza. Ad ognuno di noi la fatica di trovarla e il compito, anche, di aiutare gli altri nella propria ricerca. Un film profondamente godibile, umano e per tutti. Da vedere. (Gianluca Bernardini, sdcmilano.it)

Grazie ragazzi. O, meglio, “Merci le gars”. Il nuovo film di Riccardo Milani non è farina del suo sacco, e del cosceneggiatore Michele Astori, bensì dei cugini d’Oltralpe: è l’adattamento di Un triomphe scritto da Emmanuel Courcol e Thierry de Carbonnières, diretto da Emmanuel Courcol (2020). Insomma, le idee originali latitano un poco da Trieste in giù, sicché meglio l’usato sicuro della trasposizione transfrontaliera: a bordo il protagonista Antonio Albanese, per la quarta volta diretto da Milani, dopo Mamma o papà? (2017) e il dittico Come un gatto in tangenziale (2017 e 2021), affiancato da Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Fabrizio Bentivoglio, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi e Nicola Rignanese. Tocca a lui l’omonimo Antonio, attore di grande passione e scarsa fortuna, ridotto a doppiare i film porno, finché un collega furbastro (Bentivoglio) non gli offre un posto da insegnante di un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario. La proposta non lo alletta più di tanto, eppure il talento della compagnia di detenuti ne abbassa le resistenze, addirittura lo entusiasma, fino a risolverlo a mettere in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett, e non nel carcere bensì in un teatro. A convincersi sarà necessariamente la direttrice del penitenziario Laura (Bergamasco), ma l’evoluzione della compagnia, a partire dal forzoso inserimento del bullo Diego (Marchioni), lascerà serpeggiare qualche dubbio: che succederà in tournée? Il talento morbido e pragmatico di Albanese, sebbene qui lasci all’originale Kad Merad una bella libbra di carisma, non si discute, nemmeno la regia di alto servizio di Milani, e la storia è edificante con licenza di smentirsi, dunque bene, anzi, benino. Nondimeno Grazie ragazzi fatica a entusiasmare, per tre ragioni principali: è drammaticamente troppo lungo, delle quasi due ore almeno mezza si sarebbe potuta scorciare; fatta eccezione per Bentivoglio e Marchioni, invero assistiti da personaggi più sbozzati, sia la Bergamasco che gli interpreti dei detenuti, Ferrara, Montanini e Lattanzi, paiono recitare col freno a mano tirato, non lasciano il segno, sono appunto i detenuti, un coro, senza assoli di sorta, ovvero differenziazione caratteriale se non psicologica; drammaturgicamente, si procede – certo, l’attesa pesa… – per affastellamento e iterazione, manca un colpo d’ala che inchiodi irrefutabilmente il pubblico all’emozione. Insomma, più che Godot si aspetta Grazie ragazzi. (Federico Pontiggia, La Rivista del Cinematografo)

Commedia dal messaggio dichiaratamente sociale, Grazie ragazzi aiuta a comprendere il potere trasformativo della cultura, capace di dare un rifugio, uno scopo e una speranza a chi le si accosti. Al centro del racconto c’è Antonio (Albanese), attore fallito che non calca le scene da almeno tre anni e sbarca il lunario doppiando film porno. Un suo amico e collega (Fabrizio Bentivoglio), proprio per spronarlo a uscire dalle sabbie mobili professionali in cui è finito, gli propone di prestarsi a fare l’insegnante in un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario. Inizialmente reticente, Antonio accetta l’incarico e si trova a gestire una piccola, rocambolesca compagnia composta da cinque detenuti (interpretati da Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi e Bogdan Iordachioiu). Aiutare questi ragazzi riaccende in lui la passione e la voglia di fare teatro, al punto da convincere la severa quanto illuminata direttrice del carcere (Sonia Bergamasco) a valicare le mura della prigione e mettere in scena la famosa commedia di Samuel Beckett Aspettando Godot su un vero palcoscenico teatrale. Aspettando Godot non è una scelta casuale, visto che la condizione di chi è recluso dietro le sbarre è scandita proprio dall’attesa, intesa non solo come attesa della fine della pena ma come condizione esistenziale quotidiana: le giornate in carcere sono tutte uguali e ritmate solo dall’aspettare i pasti e l’ora d’aria. Una cella incarna la dimensione sociale limitante e frustrante per antonomasia ma può essere uno spazio tutt’altro che sterile se speso per seminare la propria crescita. Attraverso lo studio di un testo complesso e impegnativo, i protagonisti di Grazie ragazzi trovano una voce, uno strumento di riscatto e soprattutto la spinta a credere ancora in loro stessi. Oltre a ciò, riscoprono il senso di appartenenza a una comunità che non sia solo quella carceraria. La cultura diventa per loro ancora di salvezza e via d’uscita dalle miserie, perché li aiuta a esprimere il proprio io più profondo e a fare il primo passo verso il cambiamento. Certamente il teatro in carcere è già stato raccontato, basti pensare a “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, ma fa sempre bene ricordare come, soprattutto in un contesto sociale complicato come quello dei penitenziari, l’arte sia un supporto essenziale, una mano tesa, un bagliore di speranza in grado di alleviare la sofferenza. Grazie ragazzi, dosando sapientemente battute e malinconia, sa mischiare in maniera toccante l’alto e il basso, la semplicità e l’intensità, toni dolci e toni tragici. Raccontando come la vita, attraverso il teatro, irrompa proprio nel luogo che la vede interrotta, il film sa creare empatia nei confronti dei cosiddetti ultimi. (Serena Nannelli, Il Giornale)

Remake del film francese Un triomphe, ispirato a una storia veramente accaduta negli anni 80 in Svezia, Grazie ragazzi ha il suo punto di forza nella recitazione di Albanese, bravo nell’esprimere le sue capacità di capocomico insieme ai dubbi di chi ha a che fare con attori le cui motivazioni non sono certo la ricerca della professionalità o una carriera. Però Riccardo Milani (con lui Albanese ha realizzato il riuscito Come un gatto in tangenziale e il mediocre Mamma o papà?) riesce a evitare facili sentimentalismi, attenendosi a un credibile realismo sostenuto soprattutto dalla voglia di riscatto.  Un riscatto ben rappresentato non solo dalla compagine di attori/detenuti (su cui spicca, anche per esperienza, Vinicio Marchioni nei panni di un boss dotato di un autentico talento), ma anche da Albanese, capace di essere efficace sia nei momenti più comici che nei toni drammatici, visto che non sono solo i galeotti ad avere problemi. Per il protagonista il riscatto è ritrovare le motivazioni che lo hanno spinto a frequentare l’Accademia e calcare il palcoscenico; un’esperienza comunitaria, un contatto col pubblico insostituibili per ogni attore. Il film non è esente da alcune debolezze, specie nella seconda parte, quando il successo porta la compagnia a esibirsi in altre località del centro Italia: si avvertono ripetizioni e pesantezze, quando magari si potevano privilegiare altri approfondimenti, come il rapporto tra Antonio e la direttrice, che da diffidenza passa a una fiduciosa simpatia; ma il cast è convincente e la storia spinge gli spettatori a chiedersi come finirà l’avventura di questa curiosa compagnia teatrale. Il finale non è scontato. (Beppe Musicco, Sentieri del Cinema)

Ancora un rifacimento di un film francese di successo (come “Benvenuti al sud” o “Il nome del figlio”) a confermare la mancanza di idee del nostro cinema. Il protagonista Antonio Albanese, molto più bravo del collega Kad Merad (al quale un po’ assomiglia), ci sembra l’unico motivo valido per aver girato questo remake, per il resto non esaltante. (Fabio Canessa, Il Tirreno)

A guardare la filmografia di Riccardo Milani, limitandoci alla produzione per il cinema, sono pochi, pochissimi i titoli che hanno dato luogo a film sbagliati o da dimenticare. La sua è, tuttora, una delle filmografie più spendibili nel non sempre qualitativamente alto panorama italiano, sia per una indubbia qualità che i suoi film sanno esprimere che supera di qualche spanna la media del cinema di casa nostra, sia per la focalizzazione di alcuni temi tutt’altro che secondari nel dibattito quotidiano e nella vita reale. (Tonino De Pace, Duels.it)

Tolto qualche piccolo cliché di troppo, il film funziona, è credibile ed è giocato su un ottimo ritmo, con continui rimbalzi tra l’ironia e la malinconia che mantengono viva la passione nello spettatore. Si affronta il tema sociale del carcere, la condizione di ragazzi cui la vita ha negato ogni tipo di educazione e quindi possibilità di evolversi, e quello individuale della solitudine e della precarietà che segnano la vita di Antonio, e che in Grazie ragazzi trovano una sintesi poetica nella dimensione dell’arte e del teatro e nella possibilità emozionante di riscatto che offrono il sogno e l’immaginazione. A rendere la pellicola un buon prodotto sono senza dubbio la mano esperta e sagace di Riccardo Milani e l’interpretazione degli attori. Antonio Albanese ci offre una recitazione delicata, mai eccessiva, credibile ed empatica, così come tutti gli altri: dallo Spadino di Suburra Giacomo Ferrara che veste i panni di Aziz, capace di comunicare in maniera intensa tutte le emozioni, a un esperto Vinicio Marchioni nel ruolo del malandrino Diego, a Sonia Bergamasco che trasforma la spietata dirigente del ministero di Quo vado? in una direttrice severa ma sensibile che vuole cambiare le cose, fino all’attore di Summertime Andrea Lattanzi. In particolare il personaggio di Bentivoglio regala un corpo alle molteplici personalità del mondo dello spettacolo ed è sempre nel personaggio, sempre nella parte anche fuori dal palco. Una delle scelte più azzeccate quindi risulta essere proprio la composizione del cast, con attori che non appartengono esclusivamente al mondo della commedia e che hanno saputo portare al film della autenticità. Il tutto sostenuto dalle musiche originali di Andrea Guerra, abile ad accompagnare lo spettatore fino al crescendo emotivo. La parte iniziale, quella che si svolge all’interno del carcere, tra controlli da parte delle forze dell’ordine e ore di prove nelle stanze del penitenziario, resta la più interessante e veritiera. Il film sembra già marciare verso una conclusione con la messa in scena del testo di Beckett fuori dalle mura carcere, e invece qui inizia la seconda parte dove il copione si fa più tradizionale, quasi una sorta di road movie attraverso i teatri delle città italiane, in cui i ragazzi portano in scena lo spettacolo conquistando un successo dopo l’altro. E dopo tanto lavoro e tanto impegno, si arriva a giocare “la finale di Champions League” quando si va in scena al Teatro Argentina. È il momento che si aspetta da una vita, il traguardo, il punto di svolta. E ognuno si gioca la partita come meglio crede. (Valentina Holtkamp, Close-up)

Lo sai. Te l’aspetti, la lacrima, mentre sei lì seduto in sala e stai vedendo Grazie ragazzi di Riccardo Milani. A un certo punto senti che di lì a poco ti commuoverai: e la commozione puntualmente arriva. La storia – remake italiano del film francese Un triomphe – è semplicissima e diretta: Antonio Albanese, attore in crisi costretto per campare a simulare gemiti e guaiti per doppiare film porno, trova la sua occasione di riscatto mettendo in scena con cinque detenuti del carcere di Velletri un capolavoro assoluto del teatro dell’assurdo come Aspettando Godot di Samuel Beckett. Ti aspetti tutto: le difficoltà iniziali, la diffidenza reciproca, i personaggi che si studiano l’un l’altro e poi l’accettazione, il coinvolgimento nel progetto, l’adesione convinta. Sino al trionfo finale: e lì, quando cinque emarginati cronici, semianalfabeti, criminali, riescono – loro che sono abituati a vivere nell’attesa – a far rivivere magistralmente un testo come Aspettando Godot, senti che il miracolo compiuto dal teatro è tale da esigere anche da te un atto di empatia e di commozione. Impossibile resistere: ti commuovi. Il che vuol dire che il film funziona. Che fa il suo dovere. Fa piangere, pur non rinunciando qua e là anche a far ridere. E anche se tutto scatta come previsto, l’emozione è autentica. Ma è proprio vero che tutto scatta secondo previsione? Forse no. Forse Grazie ragazzi è più complesso di quello che sembra. Il personaggio di Albanese (che anche nella finzione del film mantiene il nome proprio dell’attore, Antonio, aggiungendovi un cognome – Cerami – che ricorda inevitabilmente quello del grande sceneggiatore precocemente scomparso di tanti film di Roberto Benigni) ha il demone del teatro. Ma lo incarna e lo esprime con una misura ammirevole. Quanto in altri ruoli – pensiamo anche solo a Cetto La Qualunque – Albanese sa recitare sopra le righe, lavorando di iperboli e di eccessi, tanto invece qui si muove sotto traccia, lavora di sottrazione, è misurato, pudico, a tratti malinconico, ma anche fermo e irremovibile quando si tratta di chiedere alla direttrice del carcere (Sonia Bergamasco) di poter portare a compimento il progetto. A volte gli bastano uno sguardo, una pausa appena più lunga del necessario, per far valere il proprio ruolo da “maestro”. Altre volte invece deve alzare la voce, mettersi in gioco in prima persona, nella consapevolezza che pur non essendo giuridicamente un “carcerato” vive anche lui in una condizione di oggettiva coercizione. I suoi attori dormono nelle celle del penitenziario, lui invece – apparentemente libero – torna tutte le sere nel suo bilocale a Ciampino, dove vive solo, e resta lì, immobile e attonito, quasi prigioniero a sua volta, mentre aerei e treni passano ininterrottamente e rumorosamente fuori dalla sua finestra. Mobilità/immobilità, carcerazione/libertà, reclusione/evasione: dove passa il confine che unisce e separa questi due opposti? Forse passa proprio per il testo di Beckett, che i cinque attori/carcerati (tra cui il “boss” Diego di Vinicio Marchioni, il libico Aziz di Giacomo Ferrara e il balbuziente Damiano di Andrea Lattanzi) imparano a memoria, e che urlano di notte da una cella all’altra, per comunicare tra loro anche a distanza in una delle scene più belle del film. Aspettando Godot viene smontato, sminuzzato, spezzettato. La sceneggiatura – firmata da Milani assieme a Michele Astori – lo propone e ripropone a frammenti, spesso ritornando più volte, in momenti diversi, sulla medesima a scena o sulla stessa battuta. Il testo nella sua interezza è assente. È un testo-fantasma (come è fantasmatica l’apparizione di Godot incarnato dal detenuto rumeno che – trasgredendo il testo beckettiano – scivola alle spalle degli attori nella scena conclusiva della pièce). Chi non conosce il capolavoro di Beckett difficilmente capisce di cosa si tratta, cosa racconta, che dinamiche inscena fra i personaggi coinvolti. Eppure il tutto incanta. È la magia del teatro. È il fascino di assistere alla mutazione di cinque detenuti/criminali in altrettanti attori che nel farsi personaggi evadono prima di tutto da se stessi, dal proprio passato, dalle colpe che si portano dietro. Perché il teatro, per chi lo fa (come ci avevano insegnato altri film “nel” carcere più che “sul” carcere, da Cesare deve morire dei fratelli Taviani a Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario) è prima di tutto questo: un atto di alienazione. Un farsi altro da sé. Un usare il diaframma, i costumi di scena, la voce, il gesto per fare del proprio corpo la matrice di una nuova identità. E così Diego, Aziz, Damiano, Mignolo (Giorgio Montanini) e il rumeno che non parla ma suona la chitarra (Bogdan Ioardachioiu) evadono pur non uscendo mai dalla stanza del penitenziario cui fanno le prove o dal palcoscenico dei teatri in cui vanno a recitare, mentre quando provano a “uscire” davvero, non trovano l’agognata ebbrezza della libertà ma tornano fatalmente a essere prigionieri del loro passato. (Gianni Canova, welovecinema.it)

Sempre più spesso il cinema sembra voler tornare o ricorrere al teatro come rinnovata fonte di genuina ispirazione. Con Grazie ragazzi Riccardo Milani percorre questa strada sul doppio binario dell’arte intesa non solo come fonte di arricchimento culturale e di godimento della bellezza, ma anche come mezzo di redenzione e riscatto, per tutti. Tratta da un film francese di successo, Un anno con Godot (2020) di Emmanuel Courcol con Kad Merad (Giù al nord, 2008 e Les choristes – I ragazzi del coro, 2004), la storia di Grazie ragazzi è ispirata ad un fatto realmente accaduto nel 1985 in Svezia, quando l’attore e regista svedese Jan Jönson decise di mettere in scena “Aspettando Godot” di Samuel Beckett con i detenuti del carcere di massima sicurezza di Kumla. Il giorno della prima a Göteborg, cinque dei sei attori fuggirono prima dello spettacolo. Grazie ragazzi prende però le distanze tanto dal film quanto dal fatto reale, attualizzando il racconto e spingendo tanto sull’aspetto umano della storia, quanto su una riflessione più profonda sulla giustizia e la pena. Con cast assolutamente avvezzo all’emozione e all’impegno che richiede il palcoscenico, Grazie ragazzi riesce a coniugare i diversi sensi della storia, arte, bellezza, disperazione e desiderio di libertà, in modo armonioso e coinvolgente. Al cospetto di un racconto che percorre una strada articolata e ricca di momenti profondi anche nella leggerezza, l’epilogo finale, tanto importante nel film francese, diventa quasi trascurabile. (Vania Amitrano, Ciak)

Volete fare un film di buoni sentimenti? Non si può, Antonio Albanese e il regista Riccardo Milani hanno dato fondo alle scorte. Non se ne trova più un briciolo, né sul carcere, né sul teatro, né sugli attori sfortunati. Tutto esaurito. C’è pure Samuel Beckett con “Aspettando Godot”, ciliegina sulla torta del film impegnato, ma alla portata anche di chi non ha studiato. (Mariarosa Mancuso, Il Foglio)

Cosa si fa in carcere? Per lo più si aspetta: si aspetta l’ora d’aria, il giorno dei colloqui, i pasti, che passi il tempo e via aspettando. I carcerati san- no cosa significa aspettare. Partendo da questa semplice constatazione, l’attore e regista Antonio (Antonio Albanese), incaricato di tenere un corso di teatro nel carcere di Velletri, ha la pazza idea di far mettere in scena al suo gruppetto di allievi niente di meno che il celeberrimo «Aspettando Godot», testo del Premio Nobel per la letteratura Samuel Beckett. (Andrea Frambosi, L’Eco di Bergamo)

Quando si sente parlare di un nuovo film di Antonio Albanese, l’immaginazione corre subito a “Qualunquemente” e a tutti quei film comici in cui l’attore travolge la scena e trasforma la storia in un “one man show”. La carriera di Albanese, però, è composta anche da tanti piccoli/grandi film di caratura completamente diversa e dove la risata è solo un pallido contraltare di una storia intima, dolce-amara, spesso al limite del drammatico. “Grazie Ragazzi” di Riccardo Milani appartiene esattamente a questo secondo gruppo di film. (Paolo Zelati, La Voce di Mantova)

Passa la luce tra le sbarre, fosse anche quella dell’occhio di bue, di un faro puntato sul palco: e su un altro presente. E se è teatro dell’assurdo, pazienza: non è che la vita, là fuori (o là dentro…) la sia di meno. E’ il remake di un bel film francese (premio Efa, l’Oscar europeo, per la miglior commedia dell’anno), mai arrivato in sala a causa del Covid, a sua volta ispirato a una splendida storia vera, «Grazie ragazzi», commedia d’autore (anche se, ne sono certo, questa definizione gli farebbe venire l’orticaria) del bravo Riccardo Milani che apre le porte del carcere al potere salvifico del teatro e dell’arte in un film divertente, ruvido e umanissimo, dove non sono giuste solo le facce, ma anche i muri. (Filiberto Molossi, La Gazzetta di Parma)

Chi meglio di un gruppo di detenuti può mettere in scena “Aspettando Godot”, dramma per antonomasia del teatro dell’assurdo? Loro che, per definizione, tra le mura del carcere non fanno altro che aspettare: un colloquio, l’ora d’aria, i pasti, la notte e poi, di nuovo, il giorno. È successo davvero: in Svezia nel 1985 quando un attore portò a teatro l’opera di Samuel Beckett insieme a cinque detenuti. Fu un successo che, alla fine, si tramutò in disastro: prima dell’ultima replica evasero tutti. (Marco Contino, Il Mattino di Padova)

«Aò, ci hai rotto il cazzo per due mesi ma recitare è meglio di una rapina!». Lo dice il detenuto Diego al regista teatrale che lo ha costretto per 60 giorni a studiare Aspettando Godot di Beckett. Grazie ragazzi di Riccardo Milani racconta la voglia di libertà che nasce in quattro carcerati quando Antonio, ex attore finito a doppiare orgasmi senza particolari entusiasmi nell’industria porno, li spinge a mettere in scena quel capolavoro del teatro dell’assurdo. (Francesco Alò, Il Messaggero)

Verso la metà degli anni Ottanta, un attore teatrale svedese di nome Jan Jönson decide di mettere in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett con una compagnia di cinque detenuti in un carcere di massima sicurezza. Il teatro dell’assurdo beckettiano a confronto con l’assoluta assurdità della prigione. Un mondo libero e poetico trasposto nel silenzio oscuro della gabbia. (Federico Rizzo, Sentieri Selvaggi)

È quasi un miracolo, il nuovo film di Riccardo Milani (il secondo della stagione dopo il documentario su Gigi Riva): pur attingendo a molte fonti, da un fatto accaduto in Svezia nel 1985 al francese Un triomphe di Emmanuel Courcol, si impone per originalità e dà l’illusione di accadere davanti ai nostri occhi mentre lo vediamo. È la magia del teatro, che a volte rende il cinema accademico, a volte lo fa tracimare di verità. Antonio Albanese è un attore fallito che sopravvive doppiando film porno. Un ex amico, mattatore trombone (Fabrizio Bentivoglio), gli offre un lavoro: dirigere un corso teatrale in carcere. Inizialmente l’improvvisato maestro e gli sgangherati detenuti non si pigliano, ma quando arriva l’idea di mettere in scena Aspettando Godot di Beckett – un testo sull’attesa, e nessuno sa aspettare come chi è in galera – scatta la scintilla. Lo spettacolo è un successone, parte in tournée, fino alla sorpresa finale… Il film è anche la versione tragicomica di Cesare deve morire dei Taviani, e il fatto che Antonio Cerami -il protagonista- viva a Ciampino, con vista aeroporto, è forse un omaggio a Vincenzo Cerami, che proprio lì è cresciuto. Ma nonostante omaggi e derivazioni, Grazie ragazzi è opera autonoma, equilibrio perfetto tra ironia e commozione. (Alberto Crespi, La Repubblica)

Va riconosciuto a Riccardo Milani di provare sempre a fare una commedia attenta alla realtà, cercando di evitare il più possibile di sbracare. Tanto più quando, come qui (e come nel precedente Corro da te) maneggia un usato sicuro altrui, con il remake del francese Un triomphe (da noi Un anno con Godot, solo su Sky), acclamato in patria. Nella sbornia dei remake nostrani, questo (da Palomar e Wildside per Vision, con una certa fedeltà) ha un suo perché, forse più di tanti altri: Antonio (Albanese, molto in parte), bravo attore di teatro alla frutta, ormai ridotto a campare con i doppiaggi dei porno (una di quelle cose che i nostri sceneggiatori pensano sempre esilaranti), si fa convincere dall’amico e collega trombone di successo (Bentivoglio, un vero macchiettone) a organizzare un laboratorio teatrale per detenuti. (Rocco Moccagatta, Film TV)

Negli ultimi 10-15 anni, la commedia italiana ha spesso saccheggiato quella dei cugini d’oltralpe, con rifacimenti che a volte hanno generato risultati artisticamente apprezzabili (ed è stato il caso di quello che è forse il titolo più noto di questo filone, ovvero Benvenuti al sud di Luca Miniero), mentre altre hanno consegnato al pubblico commedie stanche e poco ispirate (e in questo sottogruppo rientra il recentissimo – e dimenticabile – Quasi orfano, anch’esso ispirato a un film di Danny Boon). (Marco Minniti, Asbury Movies)

In generale considero un pigro vizio del cinema italiano di commedia rifare tanti film stranieri, per lo più francesi, spagnoli, argentini, messicani, pure tedeschi; insomma una mancanza di idee e fantasia. Quasi sempre i remake non sono all’altezza dell’originale, con le dovute eccezioni. Riccardo Milani, classe 1958, è uno specialista in tal senso: prima “Mamma o papà?”, poi “Corro da te”, adesso questo “Grazie ragazzi”, nelle sale da giovedì 12 gennaio targato Vision Distribution, Palomar e WildSide. (Michele Anselmi, Cinemonitor)