Cine4 – Anatomia di una caduta – dal 29/5 al 31/5

Anatomia di una caduta

mercoledì 29 maggio ore 21:00

giovedì 30 maggio ore 15:30 e 21:00

venerdì 31 maggio ore 21:00

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Regia di Justine Triet

Con Sandra Hüller, Swann Arlaud, Milo Machado Graner

Genere Drammatico, FRA 2023, durata 150’

Classificazione età: +6
Classificazione contenuti:
violenza

Sinossi:

Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, interpretato da una straordinaria Sandra Hüller,
il film è un thriller psicologico che scava nei segreti di una famiglia e mette al centro un ritratto di donna provocatorio e fuori dagli schemi.
Sandra è una scrittrice che vive con il marito Samuel e il figlio non vedente Daniel in un remoto chalet di montagna sulle Alpi francesi.
Quando Samuel muore in circostanze misteriose, Sandra viene accusata di omicidio e il processo mette a nudo la relazione tumultuosa che aveva con il marito, nonché la sua personalità ambigua.
Le cose si complicano quando anche il giovane figlio arriva al banco dei testimoni…

Trailer:

NOTE DI REGIA di Justine Triet
La mia intenzione era quella di girare un film che raccontasse la caduta di una coppia. La discesa fisica ed emotiva di un corpo diventa il simbolo del declino della storia d’amore dei due protagonisti. Questa coppia ha un figlio che scopre la natura burrascosa della relazione tra i genitori durante un processo, in cui viene esaminato ogni aspetto del loro passato. Più il processo va avanti, più il dubbio si insinua nel ragazzo, che prima aveva una completa fiducia nella madre: questo segna una svolta cruciale nella sua vita.
Il film vuole sollevare delle domande importanti sulla reciprocità, sulla fiducia e sulle dinamiche di un rapporto di coppia. La protagonista, Sandra Voyter, è una scrittrice di successo, mentre suo marito, anche lui scrittore, si dedica di più all’insegnamento e all’homeschooling per il figlio non vedente: già da qui capiamo che il tradizionale schema di una coppia ha i ruoli invertiti. La ricerca da parte di Sandra della propria libertà e la sua volontà forte creano uno squilibrio nella relazione e il film ci invita a mettere in discussione le nostre nozioni preconcette di democrazia in un rapporto di coppia e come questa possa essere danneggiata da impulsi di sopraffazione e di rivalità. Nonostante le loro difficoltà, l’idealismo dei due protagonisti e il rifiuto di rassegnarsi a una situazione tutt’altro che perfetta resta ammirevole: anche nelle loro discussioni e nelle loro trattative continuano almeno a essere onesti l’uno con l’altro, rivelando in questo un amore profondo che persiste nonostante le sfide.
Ho scritto il film con il mio compagno, Arthur Harari, condividendo ogni scelta. Inoltre ci siamo affidati alla consulenza di un avvocato penalista per gli aspetti più tecnici del processo. Anche per il modo in cui funziona la giustizia in Francia, ho preferito un approccio diverso dalla spettacolarizzazione dei drammi giudiziari americani: il ritmo è meno frenetico e ho deciso di mantenere uno stile diretto e senza abbellimenti. Non volevo un film troppo rifinito e prevedibile.

Recensione di Chiara Borroni – cineforum.it

La caduta di un corpo nel vuoto. Un volo che si arresta sul terreno innevato di fronte a uno chalet lasciando sul bianco alcune tracce di sangue. Insieme a quel corpo nel vuoto precipitano anche una coppia, una famiglia, l’infanzia di un bambino. La caduta, come dice il titolo, è il centro stesso dell’idea narrativa di Anatomia di una caduta di Justine Triet, che da lì – ricostruendo come l’uomo sia morto – comincia a entrare nel corpo vivo delle relazioni tra i personaggi, quelle che hanno preceduto l’evento tragico. La dinamica della caduta appare infatti confusa, le ricostruzioni non convincono e si aprono diverse interpretazioni che portano Sandra (Sandra Hüller), la moglie di Samuel (Samuel Theis), l’uomo precipitato, a essere imputata per omicidio in quello che inizialmente era parso un suicidio.

Provando a ricostruire l’accaduto, il film mette in atto uno studio “anatomico” delle relazioni attraverso una sceneggiatura precisissima che smonta, rimonta, suggerisce, apre varchi possibili con i tempi lunghi e metodici di una causa che sembra poter anche non arrivare mai a determinare la verità. La narrazione diventa così una sorta di paradossale autopsia che prende forma tra gli spazi della casa e poi, sempre di più, in quelli dell’aula dove si svolge il processo. Ma un’autopsia stranamente vitale che parla di amore e di competizione nella coppia, di tensioni e accettazione, di conflitti e riparazioni. Un’autopsia che seziona la vita e i molti modi di interpretarla, farla propria, subirla e – forse – anche di mettervi fine.

Per fare questo, il film lavora con grande finezza sulla parola, continuamente al centro delle dinamiche processuali ma anche della stessa vita familiare. Non solo perché Samuel e Sandra – entrambi scrittori, in crisi lui, di ben maggior successo lei – con le parole ci lavorano ma anche perché ogni tentativo di scandagliare i fatti dentro e fuori dall’aula si basa su un uso mutevole per forma, intenzione e interpretazione, proprio delle parole. Non è un caso infatti che il film inizi con una musica assordante che impedisce a Sandra di portare a termine l’intervista con la studentessa che ha ricevuto in quello sperduto chalet tra le montagne della Chavannes in cui Samuel l’ha costretta ad andare con Daniel dopo che un incidente di cui sente tutta la colpa ha quasi causato la perdita della vista al ragazzino. Parole che si disperdono coperte dai suoni, o che si dissolvono nell’aria come quelle che dovrebbe aver sentito Daniel e che sembrano poter essere una prova determinate, parole che scorrono su uno schermo proiettate nell’aula del tribunale traducendo una registrazione in cui urla e rumori inseriscono altri elementi di possibile contestualizzazione dei fatti, parole che vengono citate dalla lettura manipolatoria dei libri di Sandra dall’agguerrito pubblico ministero (Antoine Reinartz), parole che spesso si smorzato nel coinvolgimento emotivo dell’avvocato difensore (Swann Arlaud), parole che si sovrascrivono alle immagini evocate dai ricordi di Daniel o rivissute da Sandra mentre la sua vita, le sue abitudini, il suo essere vengono impietosamente rivelati al mondo e al suo stesso figlio.In questo lavoro di messa in discussione della parola e della sua centralità, della sua unica ipotetica valenza, della sua mai esclusiva verità sta tutta la qualità del film di Triet che sgombra il campo da ogni ricercatezza formale lasciando le immagini ruvide, gli ambienti essenziali e consegnando agli attori – su tutti la magnifica enigmatica Sandra Hüller – il compito di portare in scena questa complessa dissezione della vita relazionale e delle sue cadute.