Cine 4 – Il ponte delle spie

Cine 4 – IL PONTE DELLE SPIE

giovedì 19 maggio ore 15,30 e 21 – € 5,00 (€ 3,50 under 25)

IL PONTE DELLE SPIE (Bridges of Spies)

  • OSCAR 2016 A MARK RYLANCE COME MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA. LE ALTRE CANDIDATURE ERANO: MIGLIOR FILM, SCENEGGIATURA ORIGINALE, COLONNA SONORA, SCENOGRAFIA E MISSAGGIO SONORO.
  • MARK RYLANCE È STATO CANDIDATO AL GOLDEN GLOBE 2016 COME MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA.

Genere: Spy story
Regia: Steven Spielberg
Interpreti: Tom Hanks (James Donovan), Mark Rylance (Rudolf Abel), Amy Ryan (Mary Donovan), Sebastian Koch (Wolfgang Vogel), Alan Alda (Thomas Watters), Scott Sheperd (Hoffman, funzionario CIA), Austin Stowell (Francis Gary Powers), Will Rogers (Frederic Pryor), Eve Hewson (Carol Donovan),Noah Schnapp (Roger Donovan), Stephen Kunken (William Tompkins), Jillian Lebling (Peggy Donovan), Nadja Bobyleva (Katje).
Nazionalità: Stati Uniti
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Anno di uscita: 2015
Origine: Stati Uniti (2015)
Soggetto e sceneggiatura: Matt Charman, Ethan Coen, Joel Coen
Fotografia: Janusz Kaminski (Scope/a colori)
Musiche: John Williams
Montaggio: Michael Kahn
Durata: 140′
Produzione: Steven Spielberg, Marc Platt, Kristie Makosko Krieger.
Giudizio: Consigliabile/realistico
Tematiche: Famiglia; Politica-Società; Potere; Storia;

Soggetto:

Anno 1957, nel pieno della guerra fredda USA-URSS, l’FBI arresta a New York Rudolf Abel, un agente accusato di aver inviato messaggi in codice in Unione Sovietica. Rinchiuso in una prigione federale in attesa di processo, il governo, nell’intento di trovare un avvocato indipendente che ne assuma la difesa, affida l’incarico a James Donovan, un legale assicurativo di Brooklyn, ex procuratore nei processi di Norimberga…

Valutazione Pastorale:

Un anno critico, il 1957, sullo snodarsi della guerra fredda Usa-Urss: la voglia di ‘normalità’ a poco più di un decennio dalla fine della guerra mondiale; la vita dinamica negli Stati Uniti e quella grigia in Unione Sovietica. Mentre le armi tacciono, al lavoro ci sono le spie, uomini imprevedibili e inafferrabili, in grado di insinuarsi da una parte e dall’altra. Sembra una materia già pronta per una storia di enigmatici intrecci. Forse, viene voglia di dirlo subito, sarebbe stata appassionante come vicenda inventata pur su uno sfondo realistico. Ma qui, ahimè, è tutto vero, tutto è ispirato a fatti realmente accaduti. E infatti i contributi finali ricordano quello che è successo dopo con dovizia di particolari. Sappiamo che Donovan diventerà l’emblema di un’America che mette la propria Costituzione al primo posto, di una Nazione dove ogni individuo ha diritto alla difesa, dove l’avvocato James (che lavora a titolo personale) sarà ampiamente risarcito dopo il 1962 dal Presidente Kennedy. Spielberg costruisce l’elogio dell’americano medio capace di ogni sacrificio pur di non rinunciare alla giustizia. E Tom Hanks si pone con evidenza sulla scia del Jimmy Stewart reso grande da Frank Capra, uomini di integerrima moralità, che dicono bugie solo per non tenere in ansia la famiglia. Tra l’americano Donovan e il sovietico Abel si apre un confronto all’insegna di rispetto e generosità, più che mai necessari quando osserviamo il ritratto che Abel fa di se stesso; lo stesso, stanco disfatto orgoglioso, che Donovan ci trasmette quando si addormenta stremato sul letto di casa a missione compiuta. La pazienza ha vinto, la calma ha prevalso. Obbedendo ad una estrema voglia di pulizia espressiva, Spielberg compone un racconto limpido, nitido, di rigorosa chiarezza narrativa. Come si faceva nel cinema, bello e avvincente, di quegli anni; come in una spy story ieri poggiata su nemici riconoscibili oggi impossibili da replicare. Grande calma, suspence sottotraccia, la finzione che prova a riscrivere la verità storica. Un superbo costruttore di immagini, Spielberg, per un film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile e nell’insieme realistico.

(Commissione Nazionale Valutazione Film)

Scarica qui la nostra scheda del film

Critica:

“‘Il ponte delle spie’ comincia e finisce con due momenti di suspance, racchiuso tra un frenetico inseguimento alla Hitchcock tra le strade di New York e il momento dello scambio sul ponte di Glienicke, poi ribattezzato ‘il ponte delle spie’, messo in scena come un vero e proprio duello western (nella neve, come il prossimo western di Tarantino). Spielberg utilizza la più classica e solida delle forme cinematografiche per tornare a riflettere sulla grande Storia, come già in ‘L’impero del sole’, ‘Schindler’s List’, ‘Il soldato Ryan’, ‘Amistad’, ‘Munich’, ‘War Horse’ e ‘Lincoln’, ma anche ‘Flags of Our Fathers’, ‘Lettere di Iwo Jima’ e le due serie televisive sulla Seconda guerra mondiale, ‘Band of Brothers’ e ‘The Pacificic’, di cui è stato produttore. L’obiettivo del regista non è solo rievocare un difficile momento storico rendendo omaggio ai racconti di suo padre che in Russia durante la Guerra Fredda vide i resti dell’aereo di Powell esposti sulla Piazza Rossa. Il vero scopo del suo cinema negli ultimi anni è quello di aprire con il pubblico un dibattito sul presente, e questa volta sotto la lente ci sono anche gli errori della politica estera americana e di quella di Putin, i passi falsi e anticostituzionali fatti in nome della guerra al terrorismo, la cultura della paura e del sospetto. (…) Oltre ai fatti, Spielberg, che usa la pellicola per ottenere il look da film noir anni Quaranta, ricostruisce magistralmente le atmosfere di quegli anni, rende palpabile l’aria malsana che si respirava a Berlino, restituisce luci e colori, stoffe e arredi dei tristi uffici della Germania dell’Est, le sabbie mobili in cui si arenava la diplomazia, gli ingarbugliamenti della politica, i grossolani trucchi per ingannare gli avversari. E se l’attore teatrale Mark Rylance offre una straordinaria performance nei panni della spia venuta dal freddo, Tom Hanks, per la quarta volta diretto dall’amico Steven, raccoglie con il suo Donovan l’eredità dei personaggi interpretati da James Stewart e Cary Grant. Ad Hanks e Rylance, che incarnano le anime nobili di questa storia, sono affidati i dialoghi di più illuminanti del film scritto da Matt Charman con la briosa collaborazione dei fratelli Coen che hanno aggiunto una buona dose di umorismo alla storia. Ed è proprio la parola, come già in ‘Lincoln’, la grande protagonista di questa vicenda, perché di parole e informazioni era fatta la Guerra Fredda e perché parola fa rima con negoziazione e persuasione, nemiche di guerra e barbarie. E nel cinema di Spielberg, da guardare e da ascoltare con attenzione, la parola diventa, soprattutto negli ultimi anni, infallibile antidoto contro rumori, frastuoni, effetti speciali di tanti film che oggi ci buttano in faccia la realtà senza darci il tempo di riflettere.” (Alessandra De Luca, ‘Avvenire’, 16 dicembre 2015)

“È un magnifico classico ‘Il ponte delle spie’, e pazienza se alcuni considerano riduttivo il termine, ce ne fa remo una ragione. Classico nel senso che si iscrive nel filone hollywoodiano del dramma di guerra; classico nell’impianto della storia basata su fatti veri; classico nello stile ispirato al cinema Anni 40/50: e però, lungi dall’essere di maniera, il classicismo di Steven Spielberg è sempre una magistrale forma di re-invenzione a forte impatto emotivo. (…) Pur nella differenza di epoca, ‘Il ponte delle spie’ riecheggia le tematiche profondamente spielberghiane di ‘Lincoln’: sullo sfondo un irrequieto spaccato di storia – lì la guerra civile, qui la Guerra fredda; in primo piano un individuo – da una parte il Presidente, dall’altra un Everyman – capace di battersi con pragmatico idealismo per fondanti i valori democratici. Il tutto costruito su un fluido ritmo narrativo con straordinaria sapienza visiva; e avvalendosi di due emozionanti interpreti (…).” (Alessandra Levantesi Kezich, ‘La Stampa’, 17 dicembre 2016)

“Sulla scia del magnifico ‘Lincoln’ (2012), Spielberg prosegue il suo percorso sulla ‘parola’ che si fa gesto, attingendo dalla Storia del suo Paese anticorpi di vitale attualità. Una pellicola di potenza straordinaria, scritta mirabilmente dai fratelli Coen e Matt Charman, che conferma l’immensità profetica di un grande cineasta in stato di grazia. Da non perdere.” (Anna Maria Pasetti, ‘Il Fatto Quotidiano’, 17 dicembre 2015)

“Piacerà a chi pensa che negli ultimi anni Spielberg ha dato il meglio coi film storici (‘Lincoln’). Brillante nelle sequenze spionistiche, «II ponte» è asciutto ed equilibrato nella rappresentazione dell’incontro-scontro tra i due mondi. Secondo Steven quello dell’ovest era nel 1962 e rimane il migliore.” (Giorgio Carbone, ‘Libero’, 17 dicembre 2015)

“Sembra un film partorito dagli anni Cinquanta, classico nel suo stile. Eppure, indimenticabile e senza tempo, grazie a un maestro (termine abusato e impropriamente accostato a troppi autori) della regia come Steven Spielberg, al quale basta solo la scena iniziale per far capire che i fuoriclasse sono tali perché rari e geniali. (…) E’ tratto da una storia vera, esaltata dai fratelli Coen che hanno imbastito una sceneggiatura, finalmente, priva di complicati meccanismi contorti, ricca di tensione, capace di «santificare» personaggi comuni, eroi e antieroi. E’ un film anche politico, di grande attualità, sul valore dell’etica a tutti i costi, dei sani principi democratici che possono sbloccare situazioni apparentemente irrisolvibili. Tom Hanks incarna tutto questo con grande bravura, in una delle sue migliori interpretazioni di sempre. Quanto a Spielberg, non si può che rimanere sbalorditi e grati davanti a questa grande lezione di cinema.” (Maurizio Acerbi, ‘Il Giornale’, 17 dicembre 2015)

“Spielberg prosegue un percorso iniziato molto tempo fa, almeno dai tempi di ‘Amistad’: una riflessione sui gangli vitali della democrazia americana, della quale il recente ‘Lincoln’ è stato forse il capitolo più ‘teorico’ e più consapevole. Affascinante affresco sulla Guerra Fredda, ambientato nella Berlino del Muro nascente, con un grande Tom Hanks.” (‘L’Unità’, 17 dicembre 2105)

“Spy story, court-movie, melodramma e film d’azione sono dosati in miscela a volte prodigiosa nell’avventura logica e deterministica di un eroe calmo e trascinante, non inferiore al Navaroski di ‘The Terminal’ o al tenace Schindler. Cinema&vita. Dopo il quadro della nascita di una nazione, pervaso di tetra guerra e sacrificio, nel bellissimo ‘Lincoln’, il più virale e cinefilo degli autori americani ci porta nel congegno strategico della difesa di una nazione, che prevede prima di tutto la difesa dei diritti, della giustizia, dell’umanesimo a cui si ispira. Nel disegno implicito c’è un clamoroso richiamo alla perdita attuale di questi valori. Il rispetto reciproco tra Donovan e Abel è un monito al nostro tempo. Hanks infallibile.” (‘Nazione – Carlino – Giorno’, 18 dicembre 2015)