Dalle quinte alla scena (Gli attori ci guardano)

Dalle quinte alla scena

Gli attori ci guardano

Non sempre succede, però accade. Quando il sipario si apre sulla scena, dove si svolge la vicenda teatrale, qualche attore (o diversi), guarda di sottecchi verso il pubblico: non uno sguardo diretto, visibile, ma celato e voluto. Molto voluto e intenzionale, come a sfida: guardiamoci in quanti siamo, e soprattutto chi siamo: voi siete gli spettatori che pagando assistono e partecipano, noi gli interpreti che rappresentiamo la verità del teatro mediante una storia, la nostra, di personaggi.

E non va bene. No! Perché in quei pochissimi momenti – quelli dell’inizio, i più importanti – avviene l’incrocio delle attenzioni: in platea e sul palco, e del rapporto che consente l’innesto fra i tre fattori costitutivi del teatro: il testo, l’attore e il fruitore. La mancanza di un solo fattore cancella la verità: fittizia ma vera, di cui è composta la magia che unisce la comunità che celebra il rito dello spettacolo.

Si può definire veniale la banalità dell’estraneo sguardo dell’attore? Assolutamente impossibile. E’ forse quanto di più colpevole possa capitare a uno, o a più attori. La rottura del climax scenico sposta non soltanto l’attenzione di chi assiste, ma rompe l’assoluto che deve stabilirsi tra chi c’è e vive di quel dire, stare, comunicare dal palcoscenico.

Ma in breve verrà ripristinato il fascino interrotto dalla curiosità: affatto! La lacerazione implica una possibile o totale impreparazione dell’interprete, e il sospetto di faciloneria, anche se inesatto, offende le persone e il testo…

Si pensi a come verrebbe storpiato l’avvio, poniamo, di Riccardo III, con il protagonista che occhieggia in platea, mentre recita: “L’inverno del nostro travaglio è mutato in splendida estate…” Shakespeare non può intervenire, ma chi ha pagato il biglietto, sì, lo dovrebbe. E non basta. La professionalità impone che l’attore si prepari in tutti i sensi: fisici, psicologici, temporali alla rappresentazione, la tentazione di coinvolgersi in interessi privati, faccende personali, motivazioni non attinenti alla propria performance, deve essere respinta come offesa alla sacralità del teatro, ed esige il rispetto della creazione che si fa nell’attimo medesimo nel quale l’interprete la rende presente con la sua totalità.

Quando un attore si è donato al personaggio ha sottoscritto la rinuncia a se stesso, egli si è fatto prendere possesso da lui e ne condivide tutta l’esistenza.

Roberto Zago, giugno 2017

Una risposta a “Dalle quinte alla scena (Gli attori ci guardano)”

  1. Sempre interessanti le note del grande Roberto: vi traspaiono profonda passione e cultura per il Teatro nella sua forma più nobile e completa.

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