Cinema weekend – Piccole donne

Cinema weekend – Piccole donne

sabato 17 ottobre ore 21 – domenica 18 ottobre ore 15.30

Acquista QUI il tuo biglietto: i posti assegnati agli Abbonati e non confermati sono disponibili alla cassa 15 minuti prima dell’inizio dell’evento

Oscar 2020 per: Migliori Costumi. Era candidato anche per: Migliore Sceneggiatura adattata, Miglior Attrice Protagonista (Saoirse Ronan), Miglior Attrice non Protagonista (Florence Pugh), Miglior Film, Colonna Sonora Originale.

Ha inoltre ottenuto

  • 2 candidature a Golden Globes (Miglior attrice Saoirse Ronan  e Miglior colonna sonora originale
  • 5 candidature e vinto un premio ai BAFTA (Migliori costumi a Jaqueline Durran)
  • 9 candidature e vinto un premio ai Critics Choice Award (Miglior sceneggiatura non originale a Greta Gerwig)
  • 1 candidatura a Writers Guild Awards
  • 1 candidatura a Producers Guild
  • 5 candidature e vinto 2 NSFC Awards
  • il film è stato premiato a AFI Awards
Genere: Commedia – Dramma
Regia: Greta Gerwig
Interpreti: Saoirse Ronan (Jo March), Emma Watson (Meg March), Florence Pugh (Amy March), Eliza Scanlen (Beth March), Timothée Chalamet (Theodore ‘Laurie’ Laurence), Meryl Streep (Zia March), Laura Dern (Marmee March), James Norton (John Brooke), Bob Odenkirk (Sig. March), Louis Garrel (Friedrich Bhaer), Chris Cooper (Sig. Laurence), Abby Quinn (Annie), Tracy Letts (Mr. Dashwood)
Nazionalità: USA
Distribuzione: Warner Bros Italia
Anno di uscita: 2019
Data uscita Italia 9 gennaio 2020
Origine: USA
Sceneggiatura: Sarah Polley, Greta Gerwig (dal romanzo di Louisa May Alcott)
Fotografia: Yorick Le Saux
Musiche: Alexandre Desplat
Montaggio: Nick Houy
Scenografia: Jess Gonchor
Costumi: Jacqueline Durran
Durata: 135’
Produzione: Amy Pascal, Denise Di Novi, Robin Swicord. Pascal Pictures
Tematiche: Amicizia, Amore-Sentimenti, Donna, Educazione, Famiglia, Famiglia – fratelli sorelle, Famiglia – genitori figli, Guerra, Letteratura
Valutazione: Consigliabile, poetico, Adatto per dibattiti

Soggetto:

Le quattro sorelle March, Meg, Jo, Beth e Amy, hanno il loro padre, un semplice cappellano, che è partito per il fronte durante la Guerra di secessione americana, lasciando a casa le figlie e la moglie. Le ragazze, con i loro pregi e i loro difetti, pur essendo povere, imparano a crescere e diventare ragazze responsabili, pronte a difendersi da qualsiasi vicissitudine, e sopratutto ognuna di loro è determinata a inseguire i propri sogni…

Valutazione Pastorale:

Quando un classico della letteratura continua a parlare. È “Piccole donne” della scrittrice statunitense Louisa May Alcott, andato alle stampe nel 1868 e trasposto più volte tra grande e piccolo schermo. Si ricordano in particolare la versione del 1933 di George Cukor, quella del 1949 di Mervyn LeRoy e nel 1994 quella firmata da Gillian Armstrong; in Italia è rimasto celebre lo sceneggiato Rai diretto nel 1955 da Anton Giulio Majano. All’inizio del 2020 arriva nelle sale italiane la versione di “Piccole donne” scritta e diretta dalla quasi quarantenne Greta Gerwig, autrice che con pochi titoli all’attivo – suo è il film rivelazione “Lady Bird” del 2018 – si è subito imposta con una precisa idea di cinema, brillante e raffinato. Le quattro sorelle March sono interpretate da un gruppo di giovani attrici in promettente ascesa: Saoirse Ronan è Jo, Emma Watson è Meg, Florence Pugh è Emy e Eliza Scanlen Beth; del cast fanno parte anche Laura Dern, Timothée Chalamet, Meryl Streep, Tracy Letts, Louis Garrel e Chris Cooper. Rispetto a questa nuova versione di “Piccole donne” c’è da dire che la Gerwig è un’autrice che sa il fatto suo, capace di innovare raccontando una storia consolidata e proposta quasi in ogni angolatura a livello audiovisivo. Lei ha saputo trovare la propria via, con originalità e senza dubbio stile. La narrazione non è lineare, bensì un flusso di ricordi disordinati, che all’inizio può persino risultare asciutta, ripetitiva, confusa, ma in breve tempo trova colore, emozioni e poesia. Quello che incanta sono soprattutto scenografie di Jess Gonchor e i costumi di Jacqueline Durran; in generale, risulta raffinata la messa in scena tutta. Le musiche, inoltre, del premio Oscar Alexandre Desplat cuciono il racconto in maniera puntuale e preziosa, regalando grande atmosfera. Una giovane generazione di attori, infine, trascina il film con convinzione, a cominciare da Saoirse Ronan/Jo che punta direttamente un’altra nomination ai prossimi Oscar (già tre volte candidata per “Espiazione”, “Brooklyn” e “Lady Bird”). Dal punto di vista pastorale, il film è di certo consigliabile, poetico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione:

Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni di dibattito sui temi della famiglia, dell’eduzione, della donna, del rapporto tra cinema e letteratura. Adatto a tutti.

Critica:

C’è una piccola rivoluzione in atto a Hollywood, nata dal più grave scandalo sessuale che l’industria cinematografica abbia mai visto (quello del #MeToo e di Harvey Weinstein), e tutt’ora in cammino. La strada da fare è ancora molta, come dimostrano le denunce che ancora arrivano ai media (e in tribunale) e la fatica con cui le donne continuano ad affermarsi nei ruoli più importanti della filiera. L’industria di Hollywood, come sempre accade quando viene accusata di mancata rappresentazione di minoranze (si veda gli #OscarSoWhite di qualche anno fa), reagisce ponendo i riflettori sul problema e alimentando (ipocritamente secondo alcuni) il dibattito. Una sorta di “ok, abbiamo capito il messaggio”. Per questo motivo Piccole donne di Greta Gerwig è più di un semplice (ennesimo) adattamento del successo di Louisa May Alcott, ma un film che rappresenta con orgoglio l’emergere di un nuovo cinema fatto da donne per il grande pubblico. Piccole donne è quindi un film orientato verso il futuro, per molti versi politico, di cui c’era tanto bisogno. Per questo motivo era un osservato speciale da parte della critica, che ha ripagato le aspettative. L’attrice, scrittrice, e regista Greta Gerwig è una delle promesse del cinema statunitense. Partner di Noah Baumbach (Storia di un matrimonio) Greta si sta emancipando velocemente da questo fastidioso status subalterno imposto dai tabloid. Con soli due film all’attivo è considerata infatti a pieno titolo un’autrice. Ladybird, il suo primo successo, fu una folgorante storia di formazione dai tratti autobiografici che si fece notare nella stagione dei premi. Piccole donne non è un film così sentito e personale come Ladybird, ma riesce a comunicare in ogni fotogramma un senso di importanza e di gravitas da “film della vita” per la regista. Curatissimo in ogni suo dettaglio, dalla fotografia ai costumi, cerca di alternare atmosfere e stati d’animo con la massima rapidità possibile. Salta infatti avanti e indietro nel tempo (mentre il libro della Alcott è lineare) per mettere in contrasto diversi momenti nella formazione delle ragazze. Non sempre questo “gioco di prestigio” riesce, saltuariamente lo spettatore potrebbe restare confuso, e l’evoluzione di qualche personaggio risulta troppo abbozzata. Tranne in una scena, in cui il rapido accostamento di due piani temporali ha una notevole forza emotiva. Gerwig ha in ogni caso successo nel sul campo di gioco più importante: quello dove si racconta una piccola epica famigliare, che si fa storia universale di affetti e amori. La cinepresa fa un ottimo lavoro nel rendere quadrimensionali gli ambienti. Grazie ai movimenti di macchina e all’accurata scelta dei punti di posizionamento della cinepresa, Gerwig ci porta all’interno degli edifici e in mezzo ai personaggi. Ci si sente “di troppo”, osservatori indiscreti di eventi privati. È propri grazie a questa cura che riusciamo a sentire vivi i personaggi e ad affezionarci ad essi. La storia procede con un ritmo regolare, per la sensibilità di qualcuno forse anche con un ritmo troppo lento, che potrebbe però andare avanti per molti più minuti di quelli concessi al film. C’è l’atmosfera delle migliori serie tv, quelle che coinvolgono e portano per mano chi guarda in un vero e proprio viaggio. Dal punto di vista del product value Piccole donne è incredibile a partire dal cast. Saroise Ronan, Emma Watson, Florence Pugh, Eliza Scanlen, Laura Dern, Meryl Streep sono simbolo del meglio delle attrici contemporanee. Alle vecchie glorie (Streep e Dern) si uniscono giovani affermate (Ronan, Watson) e promesse del futuro (Pugh la vedremo in Black Widow, Scanlen ha dato una grandissima prova in Babyteeth). A loro si affiancano Timothée Chalamet (noto per Chiamami col tuo nome) estremamente apprezzato dai più giovani, Louis Garrel (doppiato ahimè in modo bizzarro), e i veterani Chris Cooper e Bob Odenkirk. Un film di attori, che riesce a vincere proprio sotto questo aspetto, dove non poteva sbagliare. La messa in scena è ottima, la fotografia pastello descrive bene l’atmosfera calda del film. (Gabriele Lingiardi, sdc.it)

Tra i tanti adattamenti del romanzo di Louisa May Alcott il primo è muto; gli ultimi sono una miniserie e un film ambientato ai nostri tempi, usciti entrambi due anni fa per il centocinquantenario del libro. Affermatasi prima come attrice, poi come regista del premiato Lady Bird, Greta Gerwig ne propone ora una nuova versione fedele e intelligente, che mette assieme due periodi della vita delle sorelle March (quindi due romanzi: anche Piccole donne crescono), alternandone gli episodi in modo da ottenere nuovi significati. Jo e Meg, Amy e Beth sono viste, infatti (anche se le attrici non cambiano, ingenerando un tantino di confusione), come adolescenti nell’ età dei sogni e come giovani donne alle prese con la realtà: una realtà largamente dominata dai maschi. Non che gli uomini (Laurie e Bhaer in particolare) siano oppositori delle ragazze, ben più esuberanti ed energiche di loro. Però l’editore di Jo, Mr. Dashwood, detta le regole di un lavoro letterario di successo, che sono poi le norme sociali dell’ epoca: per una donna il lieto-fine coincide col matrimonio. Greta, insomma, usa un classico della letteratura per “piccole donne” di 150 anni fa per parlare alle piccole donne di oggi. Ha l’accortezza di non fare delle vittime di Jo & sorelle; anzi, dissemina il film di episodi allegri. E soprattutto ritrae Josephine, detta Jo (la sua attrice-feticcio Saoirse Ronan), il personaggio preferito di generazioni di adolescenti, come un esempio di consapevolezza e libertà di pensiero. Frattanto, mostra di tenere ben presente il forte elemento autobiografico che la Alcott nascose nelle pieghe del racconto, facendo capire quanto fosse difficile (e quanto lo sia tuttora) per una donna realizzare le proprie aspirazioni artistiche. Lei ce l’ha fatta. E forse, ai prossimi Oscar, la vedremo contendersi la statuetta per la regia col suo compagno Noah Baumbach, l’autore di Storia di un matrimonio. (Roberto Nepoti, La Repubblica)

Freewheeling, spensierata (letteralmente, «a ruota libera»), è una parola che Greta Gerwig usa spesso per descrivere la sua visione estetica per Piccole donne. Eppure, nonostante gli incalzanti movimenti di macchina del francese Yorick Le Saux, (Carlos, Io sono l’ amore, Sils Maria…), l’ intercalare dei ralenti «poetici», un’ abbondanza di corse, balli piroettanti e capriole, lo spumeggiare dei riccioli e delle crinoline, la colonna sonora pimpante di Alexandre Desplat e l’ energia contagioluminosa di Saoirse Ronan, questo nuovo adattamento dell’ amato capolavoro di Louisa May Alcott è un film molto più programmatico che spensierato, più a tesi che libero. (Giulia D’Agnolo Vallan, Il Manifesto)

Piccole donne di una grande rivoluzione. Che persino Elena Ferrante ha scelto quale “chiave di svolta” per le sue Lila e Lenù ne L’ amica geniale: d’ altra parte tutte vogliono diventare Jo March, l’una perché selvaggia e ribelle, l’altra perché determinata a costruirsi un destino da scrittrice e soprattutto da donna libera ed emancipata. Romanzo eterno, evergreen per definizione, femminile e femminista al punto giusto da piacere anche ai maschi, rieccolo al cinema nell’ adattamento che tutti speravamo di vedere, frutto della passione di Greta Gerwig, che dall’ infanzia all’ età adulta ha divorato quelle vite, si è identificata con la protagonista, arrivando a ricalcarne alcune tracce fino ad assumerla quale tangibile compagna di viaggio ed intensa mentore d’ esistenza. (Anna Maria Pasetti, Il Fatto Quotidiano)

Scrivere di Piccole donne (in tutte le sue varianti o trasposizioni) è un po’ come sottomettersi a un’estenuante seduta di ipnosi regressiva in cui si è, allo stesso tempo, analista e paziente. Forse perché si tratta del primo romanzo che generazioni intere di lettrici in erba (compresa la sottoscritta) hanno letto proprio come si vede un film: ossia, lasciando che nuove enormi figure invadessero lo spazio vergine dell’immaginazione e lo ripopolassero di senso adulto, esalando dalla parola scritta come fantasmi. (Simona Busni, Fata Morgana)

“Ho attraversato molte difficoltà, perciò scrivo storie allegre”. È questa la frase di Louisa May Alcott che la sceneggiatrice e regista Greta Gerwig fa apparire sullo schermo in apertura del suo adattamento del capolavoro della Alcott Piccole donne. La frase è tecnicamente una sorta di ossimoro: fa coincidere gli opposti, li lega l’uno (l’ostacolo, la difficoltà, il problema) all’altro (l’allegria). Ed è proprio in questa coabitazione degli opposti che possiamo individuare una delle chiavi più importanti scelte dalla Gerwig per rileggere il romanzo e rimetterlo in scena. (Gianni Canova, We love cinema)

L’idea impressionante che domina la nuova versione cinematografica dell’ormai classico della letteratura Piccole donne di Luisa May Alcott, pubblicato per la prima volta nel 1868, è lo spirito femminista che lo attraversa dal principio alla fine come una corrente di energia incontenibile. Lo si guarda e ascolta tutto d’un fiato, non come un adattamento bacchettone di un testo da sempre considerato un concentrato pedagogico sul ruolo della famiglia e le dinamiche della crescita. L’autrice di Lady Bird, l’attrice Greta Gerwig, che dirige e sceneggia questo rivoluzionario Piccole donne (includendo nella trama anche gli avvenimenti di Piccole donne crescono e lascia intravvedere anche quelli di Piccoli uomini e I ragazzi di Jo), ne fa un manifesto femminista ante-litteram attraversato dal vigore e dall’improntitudine del personaggio di Jo, con cui la straordinaria interprete Saoirse Ronan entra completamente in simbiosi. (Anton Giulio Mancino, La Gazzetta del Mezzogiorno)

Perché, con tante storie da raccontare, la svagata genialità di Greta Gerwig ha scelto ancora l’ epopea delle sorelle March, cui si erano già interessati il cinema muto (Harley Knoles, nel 1918) e poi George Cukor nel 1933 con Katharine Hepburn nel ruolo di Jo, Mervyn LeRoy nel 1949 mettendo nei panni di Amy Elizabeth Taylor e nel 1994 la regista Gillian Armstrong squadernando Winona Ryder, Gabriel Byrne, Susan Sarandon, Kirsten Dunst? È chiaro: Gerwig è la Joe di Piccole donne fatta e finita. Basta mettere la Sacramento odierna, dove la regista, sceneggiatrice, produttrice, attrice è nata, al posto della cittadina della Nuova Inghilterra del 1800, in cui è ambientato il romanzo di Louisa May Alcott, e il gioco è fatto. (Cristina Battocletti, Il Sole 24Ore)

La versione di Greto Gerwig – californiana, trentasettenne, “it girl” del cinema indipendente americano non è una modernizzazione, ma di certo porta in superficie quegli elementi di modernità che nel romanzo “Piccole donne” di Louisa May Alcott sono presenti benché finora non siano stati valorizzati dai molti adattamenti cinematografici. Elementi quali, ad esempio, l’ambizione creativa, la disparità di trattamento economico tra uomini e donne, il diritto d’autore, la difficoltà di conciliare le richieste della vita famigliare con quelle della letteratura. (Marianna Cappi, La Voce di Mantova)

Attenti, sta per scattare un’altra epidemia. Quando uscì “La versione di Barney” (avete già dimenticato Mordecai Richler? ingrati, vi sembra il modo?), tutti i maschi erano convinti di essere fascinosi, caustici e brillanti come Barney Panofsky – erano invece noiosi, serissimi, e assenti durante l’elogio del “totally unnecessary”. Quando uscì “Zia Mame”, tutte le signore erano convinte che Patrick Dennis le avesse prese a modello per il romanzo. Al capitolo “Piccole donne”, tutte le ragazze dai nove ai novanta giurano di aver trovato in Jo la loro eroina. (Mariarosa Mancuso, Il Foglio)

Le regole per un ottimo romanzo: dev’essere innanzitutto audace e, se ha per protagonista una ragazza, che questa si sposi entro la fine del libro o altrimenti muoia. Se i consigli dell’editore Dashwood a Jo March suonano spiritosi, per le nuove “Piccole donne” Greta Gerwig ha fatto sua soprattutto l’audacia. Quello della 36enne artista californiana è un nome che si è fissato nella mente di tanti spettatori: l’immagine di lei nei panni della danzatrice newyorkese “Frances Ha” già aveva colpito nel segno, raccontandosi poi in prima persona nell’esordio da regista, il premiatissimo “Lady Bird”. (Federica Gregori, Il Piccolo)

Può sembrare anacronistico cine-rileggere l’ottocentesco romanzo di Louisa May Alcott «Piccole donne», storia di quattro sorelle, affettuosamente strette a mamma, benché frenate da modesta condizione sociale ansiose di vita e di sogni. Non varia l’ambiente in un villaggio del Massachusetts. Non variano i personaggi, mamma fedele al pragmatico motto «prendi ciò che ti aggrada», e, tra le figlie, Meg equilibrata e quieta anche quando sarà moglie e madre, Jo umorale, con spigliate ambizioni di scrittrice, Beth fisicamente fragile, destinata a morte precoce, Amy sin da bambina insolente, capricciosa che poi conquisterà il ricco vicino Laurie, invano per anni innamorato di Jo. (Alberto Pesce, Giornale di Brescia)

“Piccole Donne” torna al cinema in un nuovo appassionato adattamento. Dal libro di Louisa May Alcott sono già nate cinque trasposizioni cinematografiche (nel 1918, nel 1933, nel 1949, nel 1955 e nel 1994), un cartone animato e una serie tv. C’era quindi bisogno di una nuova versione? Probabilmente sì, visto che Greta Gerwig, alla seconda regia dopo l’acclamato “Lady Bird” e, prima ancora, interprete di punta del genere indie contemporaneo, dona un punto di vista nuovo, fresco e personale sul grande classico della letteratura per ragazzi. (Serena Nannelli, Il Giornale)

Così come accade per D’ Artagnan e i tre Moschettieri, ogni generazione ha le sue «piccole donne», chiamate in causa da chi si appresta a fare il punto sull’ evoluzione della condizione femminile, già lucidamente affrontata da Louisa May Alcott nel suo celebre e immortale romanzo del 1868. C’ è ancora bisogno di Meg, Jo, Amy e Beth, insomma, per riflettere su come cambiano i tempi e sul diritto delle donne a scegliere la vita che più si adatta alle proprie attitudini. Il primo a portare sullo schermo la storia delle quattro sorelle, ambientata durante la Guerra Civile americana, è stato Harley Knoles nella versione muta del 1918 con Dorothy Bernard nel ruolo di Jo, poi nel 1933 è toccato a George Cukor con Katharine Hepburn, nel 1949 Mervyn LeRoy ha diretto Elizabeth Taylor e Janet Leigh, mentre nel 1994 dietro la macchina da presa troviamo una donna, Gillian Armstrong, e nel cast Winona Ryder, Samantha Mathis e Claire Danes e Kirsten Dunst. (Alessandra De Luca, Avvenire)

Un classico, capace di spiazzare,e rendersi moderno, attraversando generazioni, generi. “Piccole donne”, scritto da Louisa May Alcott, pubblicato in due volumi tra il 1868 e il 1869, è di fatto uno dei quei romanzi di formazione, attuali, da rileggere per capirne l’essenza e quanto si avvicinano ai giorni nostri. La perfezione del libro, e della storia delle quattro sorelle March, è un caposaldo della letteratura mondiale, rivelatasi spesso fonte di ispirazione, dal muto all’ultima trasposizione, datata 1994, fino alla tv. (Andrea Giordano, La Provincia di Como)

Sono le «piccole donne» di un padre partito per combattere la Guerra di secessione, lasciando la famiglia a casa con qualche difficoltà economica. Le quattro sorelle March sono protagoniste del film omonimo di Greta Gerwig, settimo adattamento per lo schermo del romanzo di Louisa May Alcott pubblicato nel 1868. In realtà si tratta delle vicende dai due libri, compreso il seguito «Piccole donne crescono», che si alternano su due livelli temporali diversi, un po’ come aveva fatto già l’australiana Gillian Armstrong nella sua versione del 1994. (Nicola Falcinella, L’Eco di Bergamo)

Piccole donne si fa moderno. Ma non lo era già nel 1868? Certo. La Guerra di secessione sullo sfondo, il padre cappellano al fronte, la famiglia March che cerca di resistere. Il titolo nasce da una lettera inviata dal papà: «So che saranno affettuose e buone con te, che faranno il loro dovere senza lagnarsi, e sapranno rendermi orgoglioso delle mie piccole donne». (Gian Luca Pisacane, Famiglia Cristiana)

Gli uomini se li era portati via la guerra. Quella che rimaneva nell’America di metà Ottocento durante il conflitto di secessione era una cornice matriarcale con molte regole e poche speranze. Riuscire a raggiungere le ambizioni equivaleva a ingaggiare un’altra piccola grande guerra quotidiana contro pregiudizi e rigori in un’epoca in cui i ruoli erano fissi e le deroghe assenti. (Stefano Giani, CineSalotto)

“È cosa ormai risaputa che uno scapolo in possesso di un vistoso patrimonio abbia bisogno soltanto una moglie. Questa verità è così radicata nella mente della maggior parte delle famiglie che, quando un giovane scapolo viene a far parte del vicinato – prima ancora di avere il più lontano sentore di quelli che possono essere i suoi sentimenti in proposito – è subito considerato come legittima proprietà di una o dell’altra delle loro figlie”. Così inizia Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. Cinquan’anni dopo, nel 1868, dall’altro lato dell’oceano Louisa May Alcott pubblica Piccole donne. (Valeria Brucoli, Sentieri Selvaggi)

Nel settembre 1867, l’editore Thomas Niles invitò Louisa May Alcott a scrivere un libro per ragazze. Lei non fu entusiasta: «Non mi piacciono le ragazze, e non ne conosco a parte le mie sorelle» annotò sul suo diario accingendosi a iniziare su un evidente, seppur sublimato, registro autobiografico il romanzo di cui 250 anni dopo stiamo ancora parlando. (Alessandra Levantesi, La Stampa)

Chi lo ha detto che una storia scritta da una donna, diretta da una donna e interpretata principalmente da donne debba essere apprezzata solo da un pubblico femminile? Diretto da una talentuosa regista, Greta Gerwin (di “Lady Bird”), e interpretato da brave e brillanti attrici come Saoirse Ronan, Emma Watson, Florence Pugh e Eliza Scanlen, “Piccole donne” è una pellicola che saprà appassionare il pubblico di ogni genere. (Giulia Bianconi, Il Tempo)

A metà dell’800 la “piccola donna” Jo March è già volto del “girl power”. La più ribelle e inquieta delle 4 sorelle del romanzo ha fatto identificare generazioni di ragazze che sognavano di realizzarsi come donne e non solo come mogli e amanti. La regista Greta Gerwig ha raccontato la vita di Jo (Saoirse Ronan) e Meg (Emma Watson), Amy e Beth, mescolando atmosfere di ieri e sensibilità di oggi. (Valeria Vignale, Tu Style)

Jo March, che si è trasferita a New York inseguendo il sogno di diventare una scrittrice, ripensa alle sue sorelle: l’immatura ma vitale Amy, la saggia primogenita Meg, la timida pianista Beth. Con loro è cresciuta, in attesa del padre al fronte durante la Guerra di Secessione, insieme alla genorosa e altruista madre. E ripensa anche a Laurie… Sono oltre centocinquanta anni che Piccole donne è entrato a far parte della storia della letteratura statunitense, e mondiale. Pubblicato nel 1868 – nel 1869 era già in stampa il secondo volume, Piccole donne crescono – il capolavoro di Louisa May Alcott si erge, al termine del conflitto fratricida fra nord e sud del Paese, come ultima resistenza di quel fenomeno letterario che prese il nome di “American Renaissance”, e durante il quale furono redatti testi fondamentali della cultura ottocentesca quali Moby Dick di Herman Melville, Walden ovvero Vita nei boschi di Henry David Thoreau, La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, Uomini rappresentativi di Ralph Waldo Emerson, e ovviamente Foglie d’erba di Walt Whitman. (Raffaele Meale, Quinlan)

Chi è cresciuto con la versione del ’49 di Mervyn Le Roy di Piccole donne non potrà dimenticare la varietà di chiome in technicolor delle sorelle March. Nella cornice di compostezza dei modi e della pur rassicurante messa in scena in stile american way of life trovavano spazi di fuga l’espressività sbruffona di Jo, la leziosità infantile di Amy (che preludeva alla futura prorompente femminilità della Taylor), la delicata fragilità vagamente aspergeriana di Amy, l’eleganza matronesca di Meg. Le gesta casalinghe di queste ragazze a un passo dall’età adulta, tra piccoli peccati veniali e slanci di umanità – le scarpe strette e il vestito bruciacchiato, le bacchettate sulle mani e la caduta nel lago ghiacciato, tagliare i capelli per essere d’aiuto, malattia e morte quali fatti intrinsecamente legati alla vita – divenivano epiche. (Veronica Flora, Close-Up)

Per la sua versione di Piccole donne Greta Gerwig ha scelto l’unica opzione possibile per tornare su una storia che dopo 150 anni resta una lettura naturale per ogni generazione, e non solo per bambine e ragazze: ha affrontato il romanzo di Louisa May Alcott da lettrice, identificandosi con l’autrice e con la ribelle e volitiva Jo (com’è noto alter ego della stessa Alcott) non per vanità ma per recuperare l’emozione della lettura, l’attimo del riconoscimento. La struttura stessa del film, con i suoi andirivieni temporali, replica il passaggio da una pagina all’altra di un libro che si conosce a memoria e che si ripercorre alla ricerca di momenti nei quali ritrovarsi. (Roberto Manassero, Film TV)

Tutto comincia dal secondo capitolo della serie: Piccole donne crescono, uscito nel 1869, un anno dopo la pubblicazione e il grande successo di Piccole donne. In realtà, i due libri sono un tutto unico: la storia dell’adolescenza e dell’ingresso nella maturità delle quattro sorelle March, Meg, Jo, Beth e Amy. Libro “pedagogico”, si dice, ma di una pedagogia strana e controcorrente, come quella che veniva impartita alle quattro figlie di Amos Bronson Alcott, filosofo trascendentalista, fondatore della comunità agricola Utopian Fruitlands e amico di Thoreau, Emerson e Hawthorne, e di Abby May, attivista abolizionista e femminista. (Emanuela Martini, Cineforum)

“Senza regali il Natale non sarà un vero Natale”, esclama Jo March. E subito le fa eco la giudiziosa sorella Meg: “Che cosa triste essere poveri”. “Non è giusto che alcune ragazze abbiano tutto e altre nulla!” ribatte la petulante Amy. Mentre la dolce Beth conclude: “Ma noi almeno abbiamo il papà e la mamma e siamo in quattro sorelle”. È con questo scambio di battute edificanti ma non troppo che si apre Piccole donne di Louisa May Alcott, un classico della letteratura femminile, lettura “obbligata” e fondamentale per tante di noi, che proprio sulle pagine di questo libro scritto nel lontanissimo 1868 hanno imparato le prime preziose lezioni di femminismo, prendendo le misure di un mondo (anche oggi, figuriamoci ieri o l’altro ieri) troppo spesso nemico delle aspirazioni femminili. (Marina Visentin, Cult Week)

La vita è troppo breve per rimanere arrabbiati a lungo, soprattutto con la propria sorella, dice Jo (Saoirse Ronan) ad Amy (Florence Pugh) la mattina dopo aver scoperto che Amy ha bruciato il suo manoscritto incompleto. Queste parole, farfugliate tra le lacrime, sono il segreto, il cuore pulsante di Piccole donne di Louisa May Alcott e del film di Greta Gerwig. (Marina Sanna, La Rivista del Cinematografo)

Sono già state dette un mucchio di cose su questo film e la sua regista. E non c’è bisogno di raccontare la storia delle sorelle March, che ormai è un classico come Cappuccetto Rosso. Quindi ci prendiamo lo spazio per spiegare perché secondo noi questa versione è imperdibile e riesce a dare un calcione a tutte le precedenti. (Sara Del Corona, Marie Claire)