Cine4 – Rapito – dal 13/9 al 15/9 – cinema revolution

Rapito

mercoledì 13 settembre ore 21:00

giovedì 14 settembre ore 15:30 e 21:00

venerdì 15 settembre ore 21:00

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Regia di Marco Bellocchio

Con Enea Sala, Leonardo Maltese, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi

Genere Drammatico, Italia 2023, durata 134’

Classificazione età: T

Sinossi

Nel 1858, nel quartiere ebraico di Bologna, i soldati del Papa irrompono nella casa della famiglia Mortara. Per ordine del cardinale, sono andati a prendere Edgardo, il loro figlio di sette anni. Secondo le dichiarazioni di una domestica, ritenuto in punto di morte, a sei mesi, il bambino era stato segretamente battezzato. La legge papale è inappellabile: deve ricevere un’educazione cattolica. I genitori di Edgardo, sconvolti, faranno di tutto per riavere il figlio. Sostenuta dall’opinione pubblica e dalla comunità ebraica internazionale, la battaglia dei Mortara assume presto una dimensione politica. Ma il Papa non accetta di restituire il bambino. Mentre Edgardo cresce nella fede cattolica, il potere temporale della Chiesa volge al tramonto e le truppe sabaude conquistano Roma.

Trailer:

Note di Regia

Marco Bellocchio – Regista e sceneggiatore

La storia del rapimento del piccolo ebreo Edgardo Mortara mi interessa profondamente perché mi permette di rappresentare prima di tutto un delitto, in nome di un principio
assoluto. “Io ti rapisco perché Dio lo vuole. E non posso restituirti alla tua famiglia. Sei battezzato e perciò cattolico in eterno”. Il Non Possumus di Pio IX. Che è giusto per una
salvezza ultraterrena schiacciare la vita di un individuo, anzi di un bambino che non ha, poiché bambino, la forza per resistere, per ribellarsi. Rovinando la sua lunga vita anche se
il piccolo Mortara rieducato dai preti resterà fedele alla Chiesa cattolica, si farà prete (e questo è un affascinante mistero che non si può liquidare col solo principio della
sopravvivenza, perché dopo la liberazione di Roma Edgardo, potendo finalmente “liberarsi”, resterà fedele al Papa) e anzi tenterà fino alla morte di convertire la sua famiglia
rimasta fedele, invece, alla religione ebraica.
Il rapimento di Edgardo Mortara è anche un delitto contro una famiglia tranquilla, mediamente benestante, rispettosa dell’autorità (che era ancora in Bologna, l’autorità del
Papa-Re), in anni in cui si respirava in Europa un’aria di libertà, dove si stavano affermando ovunque i principi liberali, tutto stava cambiando e proprio per questo il rapimento del
piccolo rappresenta la volontà disperata, e perciò violentissima, di un’autorità ormai agonizzante di resistere al suo crollo, anzi di contrattaccare. I regimi totalitari hanno spesso
dei contraccolpi che per un momento li illudono di vincere (il breve risveglio che precede la morte).
Oltre l’estrema violenza dell’atto subito dal piccolo Edgardo, mi piacerebbe raccontare il suo smarrimento, il suo dolore, dopo l’abbandono forzato, ma anche il suo cercare sempre
di conciliare la volontà del suo secondo padre, il Papa, con la volontà opposta dei suoi genitori di riportarlo a casa. Tenacissima la determinazione della madre, più debole la
ribellione del padre che pensa soltanto al benessere del bambino.

Edgardo, tentando per tutta la vita una riconciliazione impossibile, non rinnegherà mai i suoi genitori, le sue origini, non rassegnandosi mai al fatto che la madre resterà ebrea fino
alla morte.
Ma in questa conversone di Edgardo, sempre tenacemente affermata, non mancheranno le improvvise ribellioni, inaspettate, più o meno inconsce, non diventerà mai Edgardo un
automa del Papa, e ne è la prova la sofferenza, con le numerose prolungate malattie che lo costringeranno a letto per lunghi periodi…
Edgardo pagherà anche fisicamente questa sua indiscussa affermazione di fede. La felicità resterà un ricordo, sempre più sbiadito, degli anni prima del rapimento (Edgardo non aveva
ancora compiuto sette anni)… Come dicevo prima l’altro enigma di questa storia è la conversione di Edgardo. Il bimbo (troppo piccolo e facilmente influenzabile, che è la tesi prevalente. Convertirsi per
sopravvivere. Che in tempi moderni si chiamerebbe la sindrome di Stoccolma) si converte e per tutta la vita resta fedele al suo secondo padre, il Papa, nella persona fisica di Pio IX.
Ora, io non voglio cercare una posizione “mediana”, ma certamente la sua conversione così assoluta apparentemente senza aver mai un minimo dubbio rende il personaggio Edgardo
ancor più interessante… E ci spinge verso mondi per noi inesistenti, ma che per tanti uomini esistono… Possiamo guardare da fuori il “fenomeno” o, con amore e partecipazione, tentare
soltanto di rappresentare un bambino violentato nell’anima e poi un uomo che, fedele ai suoi violentatori che crede suoi salvatori, diventa alla fine un personaggio che ci esime da
ogni spiegazione razionale. È un film, non è né un libro di storia o di filosofia, né una tesi ideologica.

Nota storica

Il film racconta la vita di Edgardo Mortara nel suo singolare e straordinario sovrapporsi e quasi confondersi con gli eventi storici più importanti del Risorgimento italiano: la caduta
del potere temporale dei papi, la presa di Roma e l’Unità d’Italia.
Edgardo Mortara era nato a Bologna nel 1851 in una famiglia di origini ebraiche. Sesto degli otto figli di Salomone (Momolo) Mortara e Marianna Padovani, nel 1857 viene sottratto
(“rapito” è termine più adeguato per esprimere la drammaticità dell’evento) alla sua famiglia dai gendarmi pontifici e condotto a Roma su mandato del Sant’Uffizio
dell’Inquisizione sotto il diretto controllo del papa Pio IX. Nell’ordine di cattura non compare alcuna motivazione. Si scoprirà poi che una fantesca di religione cattolica era stata
a servizio in casa Mortara quando il piccolo Edgardo si era ammalato di una febbre molto alta all’età di poco più di un anno. In realtà il bambino non era mai stato in pericolo di vita,
ma temendo che potesse morire, la giovane domestica Anna Morisi lo aveva segretamente battezzato per evitargli, a suo dire, di restare per sempre nel limbo, il luogo destinato,
secondo la teologia cattolica, ai bambini morti senza aver ricevuto il primo sacramento.

Edgardo viene così portato a Roma nella Casa dei Catecumeni o Neofiti (“Domus Catecumenorum”, come si legge sulla porta d’ingresso del collegio in una inquadratura del
film), un seminario espressamente istituito per la conversione dall’ebraismo, dall’islam e da altre confessioni religiose. Da quel momento, insieme a un cospicuo numero di bambini di
religioni diverse, Edgardo riceve una rigorosa educazione cattolica e si forma come sacerdote.
Del tutto inutili si riveleranno i ripetuti tentativi dei genitori di riportare a casa il proprio figlio. Affranti e disperati a causa del rapimento, i coniugi Mortara non esiteranno a
impiegare tutte le loro risorse, anche finanziarie, per ottenere giustizia. Le diverse comunità ebraiche, in Italia e all’estero, si mobiliteranno per sostenerli in ogni modo in quello che ben
presto sarebbe diventato un vero e proprio “affaire” internazionale.
Con la liberazione di Bologna dallo Stato Pontificio nel 1859 sembra che la vicenda possa presto risolversi felicemente. In base al decreto varato dal nuovo governo laico, che sanciva
l’uguaglianza dei cittadini di ogni fede religiosa davanti alla legge e l’abolizione dell’Inquisizione negli ex territori pontifici, lo stesso inquisitore, il domenicano Pier Gaetano
Feletti, viene arrestato e processato per il rapimento del piccolo Edgardo. L’esito del procedimento penale si rivela però deludente: il tribunale accoglierà la tesi dell’avvocato
difensore Francesco Jussi, il quale sosteneva che l’inquisitore aveva agito secondo le leggi all’epoca vigenti, eseguendo gli ordini dei suoi superiori e del papa stesso. Il primo dei casi
penali trattati a Bologna dal nuovo regime si conclude così con un verdetto di assoluzione del padre Feletti.

Mentre da Roma, Pio IX rispondeva con un netto “Non possumus” al tentativo del governo italiano di entrare in Roma col consenso della Chiesa, quelle stesse parole esprimevano
anche l’intransigente rifiuto alle richieste di restituire Edgardo alla famiglia avanzate da ogni parte del mondo.
Il “caso Mortara” si proietta così drammaticamente sullo sfondo di una storia che non è più soltanto nazionale né esclusivamente ebraica, e le cui figure cruciali sono il papa Pio IX,
l’imperatore francese Napoleone III, Camillo Cavour e il segretario dello Stato Pontificio Giacomo Antonelli, il quale presagendo l’esito della “questione romana”, afferma
significativamente: “Noi siamo finiti! Siamo finiti!”.
Il 20 settembre del 1870, la “breccia di Porta Pia” segna la fine dello Stato della Chiesa e del potere temporale dei papi. Tra i primi ad attraversare il varco aperto nelle mura della città
eterna è Riccardo, il maggiore dei fratelli Mortara. Il ritorno a casa di Edgardo è finalmente possibile. Ora però Edgardo, in un gioco perverso di illusioni e aspettative tradite, rifiuta di
abbandonare il convento dei Canonici Regolari Lateranensi a San Pietro in Vincoli, dove vive in apparente adesione alla politica del papa di cui assumerà anche il nome, Pio, al
momento di venire ordinato sacerdote. Troppo forte è stata la pressione esercitata in età infantile e troppo sottili le logiche dei condizionamenti subiti e dell’educazione ricevuta per
restarne immuni e non recarne i segni nella vita adulta.
Edgardo Mortara continuerà a fare opera di proselitismo a favore di Santa Romana Chiesa sino alla morte, avvenuta nel monastero dei canonici regolari di Bouhay, in Belgio, nel 1940.
Si conclude così una vicenda per molti versi tragica, in cui la politica e i mezzi di informazione svolgono un ruolo decisivo, le ragioni e i torti sono sempre opinabili e la
violenza degli eventi cancella, riformula e ricostruisce la memoria privata e collettiva.
consulente storico Pina Totaro

 

Recensione di Valentina Ariete – movieplayer.it

«Lo diciamo subito: il papa Pio IX di Paolo Pierobon (eccezionale) popolerà per giorni i vostri incubi. Come un vampiro, avvolge le mani prepotenti sul piccolo protagonista, privandolo della sua identità. A un anno dalla presentazione di Esterno Notte a Cannes, Marco Bellocchio torna al festival francese con un nuovo film, ancora una volta mastodontico. La recensione di Rapito parte dalla consapevolezza di trovarsi di fronte a un autore ormai totalmente libero, a cavallo di una nuova vena creativa che lo ha portato in pochi anni a realizzare titoli come quello già citato sul rapimento Moro e Il traditore.

Con Rapito, in sala dal 25 maggio, Bellocchio racconta la storia vera di Edgardo Mortara, bambino ebreo bolognese sottratto alla propria famiglia nel 1858 e portato a Roma per essere educato secondo la fede cattolica, perché battezzato in segreto da una domestica, che non voleva vederlo finire nel limbo. Mortara non è stato l’unico ragazzo tolto al proprio nucleo familiare dallo Stato Pontificio. In un momento storico in cui il Vaticano vedeva in pericolo il suo potere (nel 1870 ci sarebbe infatti stata la breccia di Porta Pia), papa Pio IX cercava con ogni mezzo di riaffermare la propria autorità. Religione, politica, l’influenza che il potere ha nelle nostre vite: il regista torna ad affrontare i temi a lui più cari raccontando un fatto storico come se fosse un horror. Le donne che portano Edgardo a Roma sembrano delle streghe, avvolte in un velo nero, facendo leva sul suo senso di colpa: quando chiede di vedere la mamma gli dicono “te lo devi meritare”. Ormai forte di una totale libertà, il regista ha il coraggio di fare un horror di possessione in cui il demone è la Chiesa cattolica, che, inevitabilmente, in Italia ha un potere enorme, influenzando le vite di tutti, più o meno consapevolmente.

La lotta interiore del protagonista (da bambino ha il volto di Enea Sala, da grande di Leonardo Maltese) non è soltanto per ritornare dai suoi affetti, ma soprattutto una battaglia per difendere la propria identità. Religiosa e intellettuale. Scelto per diventare un soldato di Cristo, Edgardo a poco a poco si trasforma, lasciando che la conversione alla fede cattolica cambi anche la sua emotività. Sempre più distante da genitori e fratelli, finisce per vedere proprio in Papa Pio IX una figura paterna.

Quanto l’ambiente in cui cresciamo sia determinante per le persone che diventeremo è uno dei punti più interessanti di un film ricco e denso di suggestioni. Per essere più forti di ciò che ci circonda bisogna avere una determinazione e una sicurezza in se stessi enorme. E un sistema capillare come quello della Chiesa cattolica è davvero difficile da mettere in discussione.

E nel mostrare questo Papa vampiro, Bellocchio parla anche della politica contemporanea. Quando fa dire a Pierobon: “Non sono reazionario, io resto fermo: è il mondo che si muove verso il precipizio” sembra di ascoltare diversi politici di oggi, che non vogliono riconoscere l’evoluzione di una società che ormai è molto più evoluta di loro. Se è vero che l’ambiente è determinante, quello che si è creato sul set del precedente film di Bellocchio deve essere stato particolarmente florido: il regista recupera molti degli attori con cui ha lavorato in Esterno Notte, da Fabrizio Gifuni a Fausto Maria Alesi, che interpreta il padre di Edgardo, Salomone, compreso lo stesso Pierobon, ottenendo da loro prove di altissimo livello. Proprio Alesi e Barbara Ronchi, che nel ruolo di Marianna, madre del protagonista, hanno le scene più intense dal punto di vista emotivo, dando a questi genitori privati di un figlio un’umanità straziante.»