Cine 4 – Vice – L’uomo nell’ombra

Cine 4 – Vice – L’uomo nell’ombra

(Vice)

mercoledì 18 dicembre ore 21 – giovedì 19 dicembre ore 15.30 e 21

  • GOLDEN GLOBE 2019 a Christian Bale come Miglior Attore in un film MUSICAL/COMMEDIA. Il film era candidato anche per: Miglior Film MUSICAL/COMMEDIA, Miglior Regista, Miglior Sceneggiatura, Miglior Attrice Non Protagonista (Amy Adams), Miglior Attore Non Protagonista (Sam Rockwell).
  • OSCAR 2019 per: Miglior Trucco e Acconciature (Greg Cannom, Kate Biscoe, Patricia Dehaney). Era candidato anche per: Miglior Film, Miglior Regista, Sceneggiatura, Miglior Attore (Christian Bale), Miglior Attore non Protagonista (Sam Rockwell), Miglior Attrice non Protagonista (Amy Adams), Montaggio.
  • Altri Premi e candidature: 6 candidature e vinto un premio ai BAFTA, 1 candidatura a Razzie Awards, 9 candidature e vinto 3 Critics Choice Award, 2 candidature a SAG Awards, 1 candidatura a Writers Guild Awards, 1 candidatura a Directors Guild, 1 candidatura a Producers Guild
Genere: Biografico – Drammatico
Regia: Adam McKay
Interpreti: Christian Bale (Dick Cheney), Amy Adams (Lynne Cheney), Steve Carell (Donald Rumsfeld), Sam Rockwell (George W. Bush), Tyler Perry (Colin Powell) Kirk Bovill (Henry Kissinger), John Hillner (George H W Bush), Alison Pill (Mary Cheney), Lily Rabe (Liz Cheney), Justin Kirk (Scooter Libby), Lisagay Hamilton (Condoleezza Rice), Bill Pullman (Nelson Rockefeller)
Nazionalità: USA
Distribuzione: Eagle Pictures
Anno di uscita: 2018
Data uscita Italia 3 gennaio 2019
Origine: USA
Soggetto: Adam McKay
Sceneggiatura: Adam McKay
Fotografia: Greig Fraser
Musiche: Nicholas Britell
Montaggio: Hank Corwin
Scenografia: Patrice Vermette
Costumi: Susan Matheson
Effetti: Peter Chesney, Raymond Gieringer
Durata: 132′
Produzione: Megan Ellison, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Adam McKay, Kevin J. Messick, Brad Pitt per Annapurna Pictures, Gary Sanchez Productions
Tematiche: Famiglia, Politica-Società, Storia
Valutazione: Complesso, Problematico, Adatto per dibattiti

Soggetto:

Dick Cheney inizia la sua carriera come operaio elettrico nel Wyoming, una zona rurale degli Stati Uniti. Ben presto si fa strada nel tessuto politico di Washington con l’amministrazione Nixon. Un percorso che lo porterà nel giro di pochi anni a ricoprire la carica di Vicepresidente di George W. Bush, dal 2001 al 2009…

Valutazione Pastorale:

La nomina a Vicepresidente di George W. Bush è stato il momento culminante di una carriera condotta con abilità, astuzia e una grande strategia comunicativa. Così si è imposto all’attenzione degli Stati Uniti Dick Cheney, la cui storia, tanto fatta di ruoli importanti quanto affidata ad accadimenti poco conosciuti, è ora affrontata da Adam McKay nel film “Vice. L’uomo nell’ombra”. Il regista è partito dalla premessa che, al par suo, molti americani conoscevano poco di questa figura, per più versi elusiva e misteriosa. McKay, anche sceneggiatore dell’opera, ha offerto un approccio alla sua vita il più possibile completo, ma non cronachistico né consequenziale: così il racconto dei fatti attraversa mezzo secolo di vita americana, sempre tenendo al centro Cheney, dai primi anni a passi più profondi e significativi quali lo spavaldo legame con Donald Rumsfeld, Segretario di Stato. La novità, che è anche il particolare approccio offerto da McKay, è nel totale rimescolamento delle carte al quale la sceneggiatura si affida. Il copione svaria tra passato e presente, propone Cheney giovane e nell’età matura, con l’intenzione non di frammentare il racconto ma di renderlo il più compatto e incisivo. Il film mantiene quindi un andamento del tutto serio e veritiero, dosando con efficacia momenti di critica e denuncia, non scadendo mai nella semplice messa alla berlina del personaggio. Anzi, sottolineando l’astuzia quasi programmatica del protagonista, ne fa un perfetto prototipo di quel potere che, appunto, non si vede; un modo furbo per lavorare sottotraccia, quasi senza darlo a vedere, illudendo amici e avversari. Accanto a Dick Cheney, cui Christian Bale (già Premio Oscar), conferisce una maschera magnetica e subdola di grande spessore, va ricordata Amy Adams, nel ruolo della moglie Lynne, forse decisiva per costruire il destino politico del marito. Un film di taglio storico-sociale di grande interesse per capire meglio il nostro presente. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione:

Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in molte successive occasioni come possibilità che offre di avviare un’ampia riflessione sul rapporto tra cinema e politica, cinema e meccanismi di consenso e pubblicità.

Scarica qui la nostra scheda del film

Critica:

Quattro premi, incluso quello al miglior film, del XXIII Capri, Hollywood International Film Festival sono andati ieri a Vice L’ uomo nell’ ombra, scritto e diretto da Adam McKay, che potrebbe avere altri riconoscimenti come i Golden Globe e gli Oscar. Il sospetto che tanta considerazione derivi anche dalla tesi politica del film è giustificato. Ma è reale la capacità del regista e sceneggiatore di tenere viva l’attenzione dello spettatore con un personaggio, Dick Cheney (interpretato da Christian Bale) vicepresidente degli Stati Uniti con George W. Bush. (Maurizio Cabona, Il Messaggero)

Scanzonato regista e sceneggiatore di satire a partire da Saturday Night Live, Adam McKay ha scelto di abbracciare la lezione dei maestri dell’umorismo, per i quali – da Molière a Billy Wilder – la commedia è una cosa seria, anzi serissima. Se con La grande scommessa si rideva amaro dei devastanti effetti della crisi finanziaria 2008, Vice rilegge un recente capitolo della storia americana come premessa allo sconfortante panorama politico attuale, ponendo al centro dell’affresco un Dick Cheney che, pur giocato con graffio ironico, non ha nulla di caricaturale. (Alessandra Levantesi, La Stampa)

Formatosi alla scuola del Saturday Night Live e collaborando con il comico Will Ferrell, Adam McKay si è rivelato clamorosamente con La grande scommessa, travolgente e cinico apologo sul diabolico funzionamento dell’economia americana e la crisi finanziaria del 2007-2008, costruito come un ironico andirivieni dentro e fuori la storia, tra straniamento brechtiano, moduli da sitcom e voice over alla Scorsese. Ci si aspettava dunque molto dal suo biopic sul vicepresidente Dick Cheney; ma stavolta il gioco funziona meno, perché è come se lo sceneggiatore e regista si fosse innamorato delle proprie trovate. Attraverso vari andirivieni temporali, seguiamo l’ascesa di Cheney dopo esser stato espulso dal college, l’incontro con Rumsfeld (Steve Carell), l’ascesa con Nixon e poi con Reagan. Senza dimenticare il privato: la moglie Lynne (Amy Adams), che nel film sembra un incrocio tra Lady Macbeth e Doris Day; il rapporto con la figlia lesbica, suo tallone d’Achille. Ma il fulcro è ovviamente l’ascesa di Bush jr. (Sam Rockwell), dipinto come un perfetto idiota di cui Cheney è il puparo, e il momento-clou è l’attacco alle Torri Gemelle, in cui, dice il film, Dick “vede un’opportunità”, e la sfrutta appieno. Il film, che politicamente sembra un po’ una versione fiction dei documentari di Michael Moore, è utile come impressionante riepilogo storico: i rapporti con la multinazionale petrolifera Halliburton, il marketing per “vendere” misure fiscali inique (basta chiamare Death Tax la tassa sulla successione, o Climate Change il riscaldamento globale, e il gioco è fatto), la teoria dell’Unitary Executive che accentra ogni potere nelle mani del presidente, la vittoria truffaldina contro Al Gore, le bugie sulle armi di distruzione di massa in Iraq, l’insabbiamento delle notizie su Al Zarqawi che involontariamente favoriscono la creazione dell’Isis. Tutto questo però è non potenziato ma indebolito dallo stile virtuosistico, teso a stupire con continue trovate di scrittura e regia: un narratore che viene svelato a due terzi del film, un finto finale a metà, i montaggi “creativi”, le scenette comico-didattiche un po’ da cabaret. In questo insieme, Christian Bale porta avanti la sua performance con tanto di monologhino finale (diciamo tra Actor’s Studio e imitazioni della Guzzanti), in maniera non troppo coerente col resto del film, e guarda all’Oscar, ingrassandosi dopo il celebre dimagrimento in L’uomo senza sonno. (Emiliano Morreale, La Repubblica)

Wyoming, 1963. Per la seconda volta, il giovane Dick Cheney viene arrestato per guida in stato di ebbrezza. “A quei tempi, un ragazzo del genere veniva definito un fannullone. Ai giorni nostri sarebbe definito uno stronzo”. Ai giorni nostri (nel primo decennio degli anni 2000), quel “fannullone” è stato il presidente de facto della più grande potenza del mondo, gli Stati Uniti, ufficialmente guidata da George W. Bush. Dopo La grande scommessa, film che entrava nei meccanismi del crack finanziario del 2008 e che gli valse l’Oscar per la migliore sceneggiatura, Adam McKay si concentra questa volta su 50 anni di politica americana: per farlo porta sotto i riflettori uno dei personaggi chiave, notoriamente “nell’ombra”, artefice del più grande cambiamento nella storia della democrazia statunitense, all’indomani dell’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre. (Valerio Sammarco, La Rivista del Cinematografo)

La terribile natura farsesca del potere, ovvero smettere di preoccuparsi e imparare ad amare la calda ombra del dominio. Adam McKay dispone in Vice l’articolarsi lucido della materia pulsante di cui è fatto il grande gioco dei potenti e lo illustra con l’ironia che è quel sentimento del contrario di cui abbiamo sempre sentito parlare. Lo aveva già fatto con La grande scommessa, dove smembrava il corpo dell’alta finanza, torna a farlo ora con le stanze del potere politico. L’effetto è un film che capovolge letteralmente le geometrie chiaroscurali dei Boiardi di Ejzenstejn, gli avvitamenti shakespeariani di Orson Welles: il potere per lui è una sorta di farfalla che disperde polline su un film che gioca col fuoco, inventandosi un biopic che disarticola il rapporto tra vero e verosimile. (Massimo Causo, Duels.it)

Uno dei registi statunitensi più interessanti, fattosi conoscere per il suo lavoro al Saturday Night Live, partner e regista di alcuni film più esilararanti di Will Farrell, con «La grande scommessa» è riuscito a spiegare cosa c’era dietro la bolla dei mutui subprime. La cosa più sorprendente di questa biografia di Dick Cheney, l’uomo che ci ha regalato la guerra in Iraq fra le altre cose, è che Adam McKay ha assimilato in profondità il principio di incertezza e intederminazione che ha investito le narrazioni della realtà dopo l’esondazione della post -verità nel mondo dei social media. (Giona A. Nazzaro, Il Manifesto)

Obiettivamente, il risultato definitivo del cinema di Adam McKay è quella clip di youtube in cui un dibattito preelettorale Trump/Hillary viene remixato con dialoghi tratti da Anchorman 2. Se il remix e il mash up sono oramai due formule imprescindibili del linguaggio contemporaneo non solo user generated (non lo sono in fondo anche due titoli come Ready Player One – pensate al “livello-Shining” – e Into the spider-verse?), McKay da tempo ne riporta la radice agli intenti eversivi alla base della comicità più destrutturata di esperienze come il Saturday Night Live, di cui il regista è stato autore dal 1995 al 2001. (Sergio Sozzo, Sentieri Selvaggi)

Il film che piacerà ai Democratici Usa. La «presunta» biografia su Dick Cheney, vice presidente dell’era Bush, è un pretesto per sparare a zero contro la politica Repubblicana. E non ci vanno per il sottile. In oltre due ore, «sarcastiche», di film, Cheney viene dipinto come il male assoluto, coinvolgendo anche il suocero, presunto uxoricida. (Alice Sforza, Il Giornale)

Dick Cheney, un ubriacone buono a nulla nel Wyoming dei primi anni 70, diviene trent’anni dopo il più potente vicepresidente di sempre degli Stati Uniti d’America, nonché il maggiore responsabile indiretto dello stato di crisi e paura in cui versa oggi – anno 2018 – il mondo occidentale. Un atto d’accusa forte quello di Adam McKay (La grande scommessa), travestito da grottesca parodia con punte di satira corrosiva. (Emanuele Sacchi, Film TV)