Cine 4 – Tutti pazzi a Tel Aviv

Cine 4 – Tutti pazzi a Tel Aviv

(Tel Aviv boeret), (Tel Aviv on fire)

mercoledì 4 dicembre ore 21 – giovedì 5 dicembre ore 15.30 e 21

  • Premio ORIZZONTI per la Miglior Interpretazione Maschile a KAIS NASHIF alla 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2018).

Genere: Commedia
Regia: Sameh Zoabi
Interpreti: Kais Nashif (Salam), Lubna Azabal (Tala), Yaniv Biton (Assi), Nadim Sawalha (Bassam), Maisa Abd Elhadi (Mariam), Salim Dau (Atef), Yousef ‘Joe’ Sweid (Yehuda), Amer Hlehel (Nabil), Ashraf Farah (Marwan), Laëtitia Eïdo (Maisa)
Nazionalità: Francia, Lussemburgo, Belgio, Israele
Distribuzione: Academy two
Anno di uscita: 2019
Data uscita Italia 9 maggio 2019
Origine: Francia
Sceneggiatura: Dan Kleinman, Sameh Zoabi
Fotografia: Laurent Brunet
Musiche: André Dziezuk
Montaggio: Catherine Schwartz
Scenografia: Christina Schaffer
Costumi: Magdalena Labuz
Durata: 97′
Produzione: Bernard Michaux per Samsa Film, Gilles Sacuto, Miléna Poylo per TS Productions, Amir Harel per Lama Films, Patrick Quinet per Artémis Productions
Tematiche: cinema/società, Politica-Società, Potere, Rapporto tra culture
Valutazione: Brillante, Consigliabile, Dibattiti

Soggetto:

Salam, palestinese che vive a Gerusalemme, fa l’assistente ai dialoghi per una notissima e seguitissima soap-opera, intitolata “Tel Aviv brucia”, ambientata a Tel Aviv nel 1967, prodotta a Ramallah e decisamente antisionista. Ogni giorno, per raggiungere gli studi televisivi, Salam deve passare attraverso un posto di blocco israeliano. Qui conosce il comandante Assi….

Valutazione Pastorale:

Salam è un giovane palestinese che, a trent’anni, lavora, grazie allo zio, in una soap opera di produzione palestinese: poiché conosce l’ebraico ha il compito di controllare che i dialoghi siano linguisticamente corretti. Un giorno come tanti, attraversando il posto di blocco, si trova catapultato in una situazione – letteralmente – esplosiva e, per cavarsi d’impaccio fa credere al comandante Assi di essere lo sceneggiatore della seguitissima soap opera. Assi, per impressionare la moglie, che ne è una fedelissima fan, pretende di collaborare alla stesura dell’opera: peccato che l’ufficiale israeliano e i finanziatori arabi abbiano idee completamente diverse sull’evolversi della storia e sul finale. Sembra che il regista e sceneggiatore Sameh Zoabi si diverta a mettere il protagonista in situazioni per un verso sempre più surreali e dall’altro sempre più realmente minacciose della propria incolumità. Nonostante tutto Salam saprà ricavarne qualcosa di buono: imparerà a scrivere sceneggiature, a comprendere meglio le persone, a prendere in mano la sua vita riuscendo a trarsi d’impaccio con un autentico (e spiazzante) colpo di genio finale. Dotato di una sceneggiature brillante il film, usando il registro comico, offre uno spaccato della vita quotidiana nel cuore di un conflitto che sembra insanabile: occupazione, abuso di potere, irrazionalità dei comportamenti su entrambi i fronti vengono descritti e in qualche modo “traslati” nella (scadente) soap opera: può essere un modo per cominciare a dialogare, stavolta sul serio. Dal punto di vista pastorale il film è da valutare come consigliabile, brillante e adatto a dibattiti.

Utilizzazione:

Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in molte occasioni per riflettere sul conflitto arabo-palestinese, sulle differenze culturali e sulle concrete possibilità d’integrazione e convivenza pacifica.

Scarica qui la nostra scheda del film

Critica:

Uno spasso vero, dalla prima all’ultima scena. Detto tra noi che abbiamo un debole per la commedia, una risposta intelligente a film come “Sarah & Saleem – Là dove nulla è possibile” di Muayad Alayan: è possibile parlare di confini e di conflitti senza punire lo spettatore con un film didattico. (Mariarosa Mancuso, Il Foglio)

Onore al regista palestinese Zoabi che ha il coraggio di guardare al più tragico conflitto della storia recente con uno sguardo non ottenebrato dall’odio: in “Tutti pazzi a Tel Aviv”, infatti, un pugno di personaggi arabi e israeliani si trovano invischiati nello sviluppo della soap ultra kitsch “Tel Aviv brucia” che furoreggia in tv al di qua e al di là dei check-point. (Valerio Caprara, Il Mattino)

Lo diceva Woody Allen: «La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione». Ed è proprio quello che fa Salam, tuttofare sul set di una soap prodotta dallo zio, dal titolo inequivocabile Tel Aviv on Fire (Tel Aviv in fiamme). Uomo senza qualità, precario, innamorato di una donna che non lo vede – Salam fa il pendolare tra Gerusalemme e gli “Studios” di Ramallah, capitale amministrativa dell’Autorità palestinese. (Paola Piacenza, Io Donna)

“Dire a una donna sei una bomba è un’offesa o un complimento?”. Se dalle nostre parti non ci sono dubbi, questi si palesano in certi territori sensibili, fra cui la tormentata Cisgiordania il cui muro separa la quotidianità di chi vi abita. Tra loro è l’aspirante sceneggiatore palestinese Salam, arruolato da dialoghista in ebraico dallo zio produttore per la sit com superpopolare sia fra arabi che ebrei Tel Aviv on Fire ambientata nel fatidico 1967. (Anna Maria Pasetti, Il Fatto Quotidiano)

Finale grottesco, ma pacifico e d’integrazione, questo possiamo dirlo. Finirà così, prima o poi, la questione palestinese? Va bene anche il grottesco se necessario, purché una soluzione viva. Non migliorano le cose in Israele purtroppo, ma fino a qualche tempo fa un resoconto della situazione in chiave di commedia degli equivoci, segno di coscienza dell’assurdo, sarebbe stato impossibile. (Silvio Danese, Quotidiano Nazionale)

L’arabo Salam vive a Gerusalemme e lavora per una soap palestinese prodotta a Ramallah. Ogni giorno attraversa un posto di blocco israeliano e l’ufficiale di stanza, incuriosito, gli chiede notizie sulla produzione. Sua moglie, infatti, è una fan della trasmissione, che pure ha un violento sottotesto antisionista. A ogni passaggio, il militare comincia a intervenire sempre più, utilizzando il proprio potere per chiedere cambiamenti alla storia. La trama della soap viene dunque stravolta, ma il fatto è che, in questo modo, funziona molto meglio (un po’ come accadeva in Pallottole su Broadway di Woody Allen, dove era il gangster Chazz Palminteri a intervenire su un copione teatrale). La commedia, esilina e gradevole, era in concorso nella sezione Orizzonti di Venezia 2018, dove ha vinto il premio per il miglior attore (Kais Nashif). Ma in realtà sembra piuttosto un originale Netflix in stile “world cinema”. (Emiliano Morreale, La Repubblica)

Salam, un palestinese che vive a Gerusalemme, scrive dialoghi per la nota soap Tel Aviv brucia, girata a Ramallah. Per andare al lavoro, deve superare il posto di blocco israeliano dove Assi, comandante del checkpoint, gli impone di modificare la trama, per impressionare la moglie, fedele spettatrice. Una commedia satirica, davvero divertente, per raccontare la questione arabo-israeliana. (Maurizio Acerbi, Il Giornale)

Sameh Zoabi, regista palestinese classe ’75, ha esordito nel lungometraggio con Men without a cellphone, nel 2011: il suo terzo film, Tutti pazzi a Tel Aviv, presentato alla Mostra di Venezia lo scorso anno nella sezione Orizzonti, esce ora in Italia. Il regista porta sullo schermo una commedia che, con un senso di grande ironia, non vuole banalizzare un argomento drammatico e forte come la situazione del suo paese, ma cerca di creare un luogo di discussione e riflessione. (Chiara Palma, Cult Week)

Tel Aviv è la città di cartone, lo sfondo dell’immaginaria serie tv palestinese le cui riprese funzionano da centro narrativo del terzo film di Sameh Zoabi. Ramallah e Gerusalemme, invece, sono le città vere del racconto, una la sede del set della serie, l’altra il luogo dove abita il protagonista Salam, un assistente di produzione palestinese che ogni giorno per recarsi al lavoro deve attraversare i check point israeliani e che a un certo punto, dopo essersi spacciato per autore dello show, trova davvero il modo di diventare sceneggiatore dei nuovi episodi, ingraziandosi un comandante dell’esercito nemico di cui accetta i consigli sulla trama e conquistando le attenzioni dell’attrice protagonista, naturalmente facendo ingelosire la sua ex che vorrebbe riconquistare. (Roberto Manassero, Film TV)

In Italia arriva con il titolo Tutti pazzi a Tel Aviv, ma il titolo originale Tel Aviv on Fire rende ancora di più la sottile ironica promessa che il film rivolge allo spettatore: siamo a Tel Aviv e si parlerà di un fuoco, di una “pazzia”, di una passione incontrollabile per una soap opera, che si intitola proprio Tel Aviv on Fire, il cui set è dentro Ramallah, la città situata a 18 chilometri da Gerusalemme e che dovrebbe essere la capitale della Palestina. La telenovela crea devozione in chiunque, seduce gli arabi in ospedale, le mogli di ufficiali israeliani e ottiene le prime pagine dei giornali. (Emanuela Genovese, La Rivista del Cinematografo)

Una commedia che prova a seppellire l’ascia di guerra tra palestinesi e israeliani là dove le bombe non servono a nulla. Un comandante israeliano che presidia il checkpoint per entrare a Ramallah, inizia a suggerire a uno stagista di una popolare soap palestinese, che si spaccia per lo sceneggiatore, dei pezzi della storia. All’inizio va tutto bene e Salam, lo stagista, fa un figurone sul set. (Sara Del Corona, Marie Claire)

Una Mata Hari araba dall’accento francese, un romantico generale israeliano e un agguerrito resistente palestinese: sono i popolarissimi protagonisti di Tel Aviv in fiamme, incandescente soap-opera ambientata sullo sfondo della Guerra dei sei giorni che, pur girata in ottica palestinese, tiene ogni settimana inchiodato davanti alla tv il pubblico di entrambi i fronti. (Alessandra Levantesi, La Stampa)

Sameh Zoabi, sceneggiatore e regista palestinese, già nei sui film precedenti, premiati in molti festival dal Sundance a Locarno, aveva cercato una chiave per raccontare il conflitto interno legato alla difficile condivisione dei territori con Israele. Un problema di culture e politiche che si riflette inevitabilmente sulla vita di tutti i giorni. Trovare un modo per raccontare tutto questo non sempre è facile perché si può essere fraintesi e, confessa lo stesso regista, accusati di fare film “eccessivamente palestinesi o inadeguatamente israeliani”. Tel Aviv on Fire evita entrambe le trappole affidandosi ai toni del grottesco e alla leggerezza di una comicità parimenti intrisa di umorismo palestinese ed ebraico. La vicenda, quella di un aspirante sceneggiatore di una soap prodotta a Ramallah, ben si presta allo humour corrosivo che colpisce le caratteristiche entrambe le tradizioni. Salam, il protagonista, dovendo dar vita a un ebreo si fa aiutare da Assi, il capitano israeliano del posto di blocco che è costretto a passare ogni giorno. (Greta Leo, Cinematografo.it)