Cine 4 – Lazzaro felice

Cine 4 – Lazzaro felice

Giovedì 14 febbraio ore 15.30 e 21 (€ 5,00 – under 25 € 3,50)

  • PREMIO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA (EX AEQUO CON “THREE FACES” DI JAFAR PANAHI) AL 71. FESTIVAL DI CANNES (2018).
  • CANDIDATO AI NASTRI D’ARGENTO 2018 PER: MIGLIOR FILM, ATTRICE NON PROTAGONISTA (NICOLETTA BRASCHI), SCENOGRAFIA.

Genere: Drammatico
Regia: Alice Rohrwacher
Interpreti: Adriano Tardiolo (Lazzaro), Alba Rohrwacher (Antonia adulta), Luca Chikovani (Tancredi giovane), Agnese Graziani (Antonia giovane), Sergi Lopez (Ultimo), Tommaso Ragno (Tancredi adulto), Natalino Balasso (Nicola), Nicoletta Braschi (Marchesa Alfonsina De Luna), Pasqualina Scuncia (la suora), Carlo ‘Carletto’ Tarmati (Carletto), Elisabetta Rocchetti (Teresa adulta)
Nazionalità: Italia
Distribuzione: 01 Distribution
Anno di uscita: 2017
Data uscita Italia 31 maggio 2018
Origine: Francia, Germania, Italia, Svizzera
Sceneggiatura: Alice Rorhwacher
Fotografia: Hélène Louvart
Musiche: Piero Crucitti (consulenza musicale)
Montaggio: Nelly Quettier
Scenografia: Emita Frigato
Costumi: Loredana Buscemi
Durata: 130′
Produzione: Carlo Cresto Dina, Tiziana Soudani per Tempesta, Pola Pandora, Ad Vitam Production, Amka Films Production con Rai Cinema
Tematiche: Ecologia, Giovani, Lavoro, Metafore del nostro tempo, Politica-Società, Tematiche religiose
Valutazione: Problematico, Raccomandabile, dibattiti ***

 Soggetto:

In una grande piantagione di tabacco lavorano 54 contadini agli ordini della Marchesa Alfonsina de Luna. Tra questi si muove anche Lazzaro, un ventenne che non conosce i genitori eppure affronta la vita quotidiana con gioia e con un sorriso…

Valutazione Pastorale:

Nata a Fiesole nel 1981, Alice Rohrwacher ha esordito nel 2011 con ‘Corpo celeste’, presentato al Festival di Cannes al pari de ‘Le Meraviglie’ nel 2014 con cui vince il Grand Prix Speciale della Giuria. Al festival in terra di Francia è presente anche in questo 2018, con ‘Lazzaro felice’, che ha ricevuto il Premio per la migliore sceneggiatura. Lazzaro felice esplora però una direzione diversa rispetto ai precedenti e in qualche modo innovativa. La storia prende il via in una grande piantagione di tabacco, di proprietà della marchesa Alfonsina de Luna, dove 54 contadini lavorano notte e giorno secondo un calendario immutabile bloccato su compiti e ritmi. Tra questi contadini (anziani, giovani, adolescenti, bambini) si muove anche Lazzaro, un ventenne che non conosce i genitori eppure lavora con gioia e il sorriso sulle labbra. La parabola di Lazzaro, che muore e risorge ed è sempre pronto al sacrificio per gli altri, ha un indubbia valenza di forte carica religiosa. Lazzaro, che non ha una precisa identità, assume su di sé tutto il male che può essere ereditato, tutta la cattiveria che l’uomo infligge ad altri esseri umani, e lo porta con se fino a destinarlo alla condivisione universale. Si tratta di un atteggiamento che porta la regista sulle orme del grande cinema umanista degli anni ’50 e ’60. Torna a mente il Rossellini dei film del secondo dopoguerra, gli straziati apologhi di ‘Stromboli’, i freddi teoremi di ‘Viaggio in Italia’. Ma forse è ad Ermanno Olmi, anche per età e generazione, che il cinema della Rohrwacher si richiama. In quella dolente, ruvida sequenza nella chiesa quando la suora si rifiuta di accogliere i poveri senza una identità. Citazione, o forse omaggio, e non banale ma palpitante e attuale, al ‘Villaggio di cartone’ di olmiana memoria. ‘Lazzaro felice’ è un film che sprigiona e trasmette ottimismo, partendo dal buio, dalla privazione, dalla sottrazione. Sta con gli ultimi, e non per convenienza ma perché lo chiedono la pietà, la ragione, la giustizia. Si dice che il cinema italiano sia in crisi. E magari a questo film non arrideranno incassi stellari. Ma chi se ne importa del box office, c’è una classifica non scritta ben più importante, quella della civiltà e della comunione. Per questi motivi il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come raccomandabile, problematico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione:

Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in molte altre occasioni per avviare riflessioni sull’intensità civile e spirituale che emana dalla vicenda.

Scarica qui la nostra scheda del film.

Critica:

Probabilmente il grande pubblico non lo amerà, non lo riuscirà a capire, non ne coglierà il senso che Alice Rohrwacher ha voluto dare al suo ultimo lavoro «Lazzaro Felice», fresco di premio per la miglior sceneggiatura all’ultimo festival di Cannes. Un film che, probabilmente, rientra in quel cammino di ricerca che la regista ha intrapreso fin dai suoi esordi con «Corpo celeste»: capace di arrivare all’essenzialità dell’esistenza, fatta di piccole e semplici cose. Quella che la società ha, in qualche modo, caricato di pesantezze e brutture, nonostante il progresso. Sarà per questa ragione che la Rohrwacher torna anche questa volta in campagna (ricordiamo «Le meraviglie» del 2014), con una sorta di favola moderna, dove negli anni Novanta una comunità contadina di circa cinquanta persone è stata schiavizzata per raccogliere tabacco dalla pseudo marchesa, Alfonsina (Nicoletta Braschi), che l’ha tenuta segregata fuori dal tempo e dal mondo. Tra questi «ingannati», protagonista del racconto, Lazzaro (Adriano Tardiolo), un giovane ventenne, figlio non si sa di chi, buono di natura, senza nessun senso di ribellione, sempre pronto a venire incontro a chi ne ha bisogno, anche al figlio della «padrona». Con Tancredi (Luca Chikovani e poi da adulto Tommaso Ragno), con il quale instaurerà una sincera e imperitura amicizia, che si ripresenterà come occasione per fare di nuovo del bene, per essere se stesso, nonostante tutto, fino alla fine, quel povero «scemo», ora «risorto» (come vuole il nome che porta), divenuto un «santo» dei nostri giorni. Con stile asciutto, immagini sgranate (quasi melanconiche), sguardi intensi, la regista toscana torna al suo cinema (d’autore), portandoci su due piani temporali diversi, capaci di porci, però, quelle domande di senso che da «sempre» sembrano abitare i nostri spazi e la nostra storia: perché occorre credere che il bene vinca sempre sul male? Perché l’uomo, in fondo in fondo, non può non essere buono? Un desiderio, un sogno o, forse, semplicemente un «monito», da cogliere al volo. Prima che sia troppo tardi. (Gianluca Bernardini, sdcmilano.it)

Che la santità sia cosa non solo di tutti i giorni, ma ordinaria, persino anonima, comunque marginalizzata e fraintesa, se non vilipesa, lo sostiene Alice Rohrwacher, premiata al 71° Festival di Cannes da poco concluso per la sceneggiatura (ex aequo con Three Faces di Jafar Panahi) di Lazzaro felice. Già miracolato, e risorto, del Vangelo di Giovanni, qui Lazzaro (Adriano Tardiolo, perfetto) è innocuo e però pericoloso: un contadino nemmeno ventenne, scarpe grosse e cuore fino, che non viene per salvare, per compiere gesta eclatanti, solo per testimoniare che un altro stare al mondo è possibile, e pazienza se c’è chi travisi beatitudine per ebetudine. (Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano)

Premiato per la miglior sceneggiatura all’ultimo Festival di Cannes il terzo film di Alice Rohrwacher sembra dapprima una quieta rievocazione di un mondo contadino, però con qualche indizio di stranezza, che non si sa bene come identificare. Dove ci troviamo, e quando? Chi sono veramente questi personaggi? Un colpo di scena, a metà, trasforma la storia in qualcosa di diverso, una bizzarra fantascienza poetica e allegorica, e trasporta i suoi personaggi in una metropoli italiana di oggi. Dal mondo di Olmi alle fiabe lumpen di Sergio Citti, si potrebbe dire. Il progetto è giustamente ambizioso, nel tema e nei modi, ed espone il risultato a qualche squilibrio: non tutte le trovate poetiche vanno a segno, specie sul finale. Ma Lazzaro felice sorprende ed emoziona (e in certi momenti diverte, con una sua bizzarra comicità). Nel concorso di Cannes spiccava come uno dei film più vivi e originali. (Emiliano Morreale, La Repubblica)

Lazzaro è nelle diciture antiche il malato, si chiamavano così i lebbrosi, e per traslazione i poveri, i disgraziati, ma è anche il rivoluzionario, perciò l’indisciplinato e persino il mascalzone. Soprattutto – almeno nella nostra cultura – è il Lazzaro che il miracolo di Cristo restituisce al mondo dalla morte. Resurrezione: ritorno alla vita, risveglio dopo un lungo sonno. (Cristina Piccino, Il Manifesto)

Il nuovo film della sempre più matura e sorprendente Alice Rohrwacher è stato presentato a Cannes a una settimana dalla scomparsa di Ermanno Olmi, non citato ma presente grazie a un comune discorso sullo sfruttamento che permette un’immagine borghese dell’Italia rurale, percorso da una brezza di realismo magico. Una comunità di contadini lavora nella sperduta tenuta dell’Inviolata, per una contessa furba. (Lee Marshall, Condé Nast Traveller)

Tra Zavattini e i Vangeli, girato rifiutando il digitale (in 16mm.) con gusto sensoriale per una dialettica spazio/personaggio che ricorda Pasolini e Bertolucci, si sviluppa la parabola di Lazzaro, contadino 20enne forgiato dall’idea (Palma d’oro alla sceneggiatura) che la bontà vera, inconsapevole, è un fiore nel deserto nel nostro moderno medioevo. (Silvio Danese, Quotidiano Nazionale)

Tra la fiaba e la realtà esiste il mondo di Alice Rohrwacher, arrivata con Lazzaro felice alla sua terza regia dopo il folgorante esordio Corpo celeste (2011) seguito da Le meraviglie (2014). Vincitore di Miglior Sceneggiatura a Cannes, il film è un fantasy neorealista in cui il contadino Lazzaro (l’esordiente Tardiolo) viaggia nel tempo e nello spazio per svelare un mistero, o forse un inganno. (Francesco Alò, Il Messaggero)

A Cannes Lazzaro felice si è aggiudicato il premio per la sceneggiatura suscitando il dovuto interesse, ma a nostro avviso meritava di più. Con l’opera terza Alice Rohrwacher alza l’asta delle ambizioni e dimostra una maturità di regia che le permette di tenere saldamente in mano il gioco della sua poetica allegoria. Gioco complesso, senza dubbio. Su un brechtiano schema di denuncia di una società regolata sul meccanismo dello sfruttamento, il film insinua il sottile filo rosso della santità attraverso la figura di Lazzaro (eccellente la scelta di Adriano Tardiolo), sorta di innocente idiota di Dostoevskij; e trasferisce sullo schermo il tutto amalgamando un ancestrale, favolistico immaginario di italica cultura al grande immaginario dei nostri maestri di cinema. (Alessandra Levantesi, La Stampa)

Ottemperato il compito di segnalarlo a uno spettatore consapevole, soprattutto se adepto delle ideologie della decrescita, «Lazzaro felice» non può usufruire di bonus artistici solo perché mena un fendente alla società dei consumi e ai suoi virus repressivi. Sul filo di un tono magico e stralunato e un ecologismo basico modello «ragazzo della via Gluck», infatti, il film della Rohrwacher si serve della finta ingenuità della parabola per promuovere una ferrea campagna di redenzione del mondo in forma di Truman Show in cui tutti noi vivremmo senza renderci conto del suo orrore. (Valerio Caprara, Il Mattino)

Ha incredibilmente vinto a Cannes il premio per la sceneggiatura la barbosissima favola di Alice Rohrwacher. È la storia del giovane contadino Lazzaro, convinto dal coetaneo marchesino Tancredi a inscenare il suo stesso rapimento. Difficile capire quel succede nelle due, micidiali, ore successive, anche per i temerari che riusciranno a restare svegli. (Massimo Bertarelli, Il Giornale)