Cine 4 – Il miglior regalo

Cine 4 – Il miglior regalo

(El Major regalo)

Film in programmazione l’11 e il 12 marzo e sospeso a seguito dell’ordinanza regionale per contrastare la diffusione del Covid-19

Genere: Commedia, Drammatico
Regia: Juan Manuel Cotelo
Interpreti: Juan Manuel Cotelo (regista), Joe Gòmez, Carlos Aguillo (Jack), Carlos Chamarro (giornalista)
Nazionalità: Spagna
Distribuzione: Infinito Mas 1
Anno di uscita: 2019
Data uscita Italia 28 febbraio 2019
Origine: Spagna
Soggetto: Juan Manuel Cotelo, Alexis Martínez
Sceneggiatura: Juan Manuel Cotelo, Alexis Martínez
Fotografia: Alexis Martínez
Montaggio: Alexis Martínez
Durata: 107′
Produzione: Infinito + 1
Tematiche: perdono

Soggetto:

La storia inizia durante le riprese dell’ultima sequenza di un film western. Tutto sembra esser pronto ma all’ultimo momento il regista decide di modificare lo script classico dove il buono uccide il cattivo. Non convinto che la vendetta sia l’unico modo per dare una buona fine al suo lavoro, l’artista decide allora di intraprendere un viaggio nel mondo alla ricerca di una migliore soluzione, per sconfiggere qualsiasi guerra, perché il tema della vendetta diventi il tema del perdono.

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Critica:

Come si potrebbe definire Juan Manuel Cotelo, il regista di L’ultima cima (2010), Dio esce allo scoperto (2012), Terra di Maria (2013), Footprinnts, il cammino della vita (2016) e ora questo Il miglior regalo (2018)? Si potrebbe intendere come un predicatore laico all’uso americano (ma cattolico) che impiega non un una retorica efficace per trasmettere la verità del Vangelo ma il più moderno story telling. Non si tratta di fiction ma sempre di storie vere, con interviste ai protagonisti diretti dei fatti accaduti ed è proprio questa scelta che rende questa forma di apostolato particolarmente efficace. In quest’ultimo lavoro il tema è il perdono: tema affrontato in modo estensivo nell’ora e quaranta minuti del film attraverso interviste a persone che hanno perdonato di cuore: perdono in famiglia nei confronti di un padre violento; perdono dopo esser stata vittima di un attentato terroristico come la spagnola Irene; perdono da parte di chi ha aderito all’IRA; perdono in Colombia dopo i violenti scontri fra i guerriglieri del FARC e l’Esercito di Liberazione nazionale (ELN); in Uganda dopo il genocidio incrociato perpetrato fra Utu e Tutsi; perdono verso la moglie che ha tradito abbandonando il marito e tre figli. La serietà dei fatti narrati non viene sminuita ma comunque allentata dalla componente fiction che si interpone fra un’intervista e l’altra; in questa parentesi western  Cotelo stesso, con molta ironia, impersona un regista impegnato nelle riprese di un film che deve classicamente concludersi con una sfida mortale fra i due antagonisti nella strada principale del villaggio. E’ proprio questo finale violento che determina una crisi di coscienza da parte del regista che invita tutta la troupe a trovare un finale più positivo. La ricerca della migliore soluzione sarà il pretesto per Cotelo di spostarsi da una parte all’altra del mondo dove maggiormente ha infuriato l’odio e la violenza per cercare dove ha brillato la forza del perdono.  “Quando sei in guerra diventi cieco. Ti si chiude il cuore come se lo coprissero di cemento” racconta un uomo che ha combattuto e ucciso in Colombia durante la guerra civile. “Eravamo come bestie e uccidevamo anche i nostri figli” racconta un altro nel rievocare il genocidio dei Tutsi, circa un milione di persone, avvenuto in Ruanda nel 1994. Partendo da tante situazioni drammatiche la forza del perdono appare in tutta la sua evidenza. Si inizia a riconoscere in chi ti ha ferito non l’oggetto di una vendetta ma una persona da comprendere: “colui che fa del male è la prima vittima di un odio che tiene dentro di se” racconta Irene che ha perso le gambe in un attentato. In tanti intervistati, l’odio è risultato: ” un peso che condiziona la tua esistenza, una sofferenza che ti opprime e il perdono una liberazione”. La soluzione sta, nell’azzerare la propria vita e iniziare da capo, come se si nascesse in quel momento: “perché dovrei perdermi la vita ad amareggiarmi per la mia situazione? Non mi è stato mica amputato anche il cuore – dice sempre Irene – “bisogna rinascere: è come se fossi nata direttamente senza gambe. Man mano che la ricchezza del perdono, testimonianza dopo testimonianza, viene resa evidente, interviene la seconda scoperta: “il perdono è un dono che Dio ci regala- dichiara il marito tradito e poi riconciliato – solo Dio te lo può dare ma bisogna chiederlo. Non ho nessun rancore per lei, nè per la persona che l’ha portata via. Non debbo pensare male di nessuno. È solo Dio che giudica”. Complessivamente un film raggiunge con efficacia il suo obiettivo. Un obiettivo appena affievolito da uno sviluppo del racconto non pienamente organico e da una certa tendenza, da parte del Cotelo-intervistatore, a voler spiegare ciò che possiamo comprendere dalle persone intervistate. (Franco Olearo, FCT Family Cinema TV)

La storia di un giovane prete. Un’indagine sulla Madonna. Le orme che portano a Santiago de Compostela. E ora un’inchiesta sulla possibilità del perdono. Come faccia un regista oggi ad avere successo con temi così, è un mistero. Eppure Manuel Cotelo è un caso, che dalla sua Spagna arriva un po’ ovunque, anche da noi: non lo trovate nelle sale della grande distribuzione, perché si produce e si distribuisce da solo e diffonde per contagio, grazie al passaparola in teatri poco off e molto carbonari, molto cattolici. E ci dispiace per gli altri, perché Cotelo, giornalista, volto noto della tv nel suo paese, accademico delle scienze e delle arti, stupisce, commuove, fa pensare, sorridere. Qualche anno fa si era presentato con L’ultima cima: un “cura”, un prete, che amava stare coi giovani e la montagna. Muore a 40 anni sulla vetta del Moncajo, e cambia il cuore di chi lo conosceva, Manuel compreso. Dov’è morte il tuo trionfo, se la speranza e la certezza del per sempre ti sopravanzano? Il 15 febbraio Cotelo presenta a Roma – presso la Pontificia Università Antonianum – il suo ultimo film, Il miglior regalo, destinato ancora a colpire, e porre domande. È possibile che il dolore più ingiusto e crudele possa essere redento già qui, e da noi, poveri uomini e donne feriti? Ha senso per le vittime perdonare i carnefici? È impossibile, irrealistico, visione di qualche mistico, o follia. Cotelo va in cerca proprio dei folli di Dio, e li racconta, porta la loro testimonianza a scontrarsi col nostro buonsenso e la nostra coscienza. Lo scandalo della misericordia è alla nostra portata: non è una strada piana, e richiede tempo e pazienza, anche verso la propria debolezza, ma accettare la sfida sorprende, fa crescere in umanità e apre il varco alla felicità. Se un film ti regala questi pensieri, è un film che fa del bene. Se poi sa miscelare i toni drammatici con l’umorismo, l’emozione alla sana risata, siamo nella miglior tradizione cattolica. Un tal celebre scrittore ricordava che gli angeli possono volare perché non si prendono troppo sul serio. (Osservatore Romano)

Questo è un documentario basato interamente sulla verità, la verità di quelle persone che hanno subito delle perdite durante il genocidio in Ruanda o nelle guerriglie in Colombia; verità di chi si è sporcato le mani con il sangue di innocenti e che, a distanza di anni, vogliono mettere a nudo le proprie coscienze. Non risparmiando alcun dettaglio delle crude vicende, il regista vuole così divulgare un messaggio di riconciliazione, in questi tempi dove l’odio verso gli altri, soprattutto i più deboli, sta dilagando. Come spiega il regista spagnolo le storie del film “Il miglior regalo” sono miracoli, frutto di gesti di pace, dove il cuore di chi ha ricevuto il perdono ricomincia a battere. A prestare la voce per il doppiaggio nella versione italiana di due dei personaggi della pellicola è stato chiamato l’attore Giovanni Scifoni. (ecodelcinema.com)

Sono storie di ringraziamento e riconciliazione quelle raccontante nell’ultima fatica cinematografica del regista indipendente spagnolo Juan Manuel CoteloIl Miglior Regalo”, in uscita nel nostro paese il 28 febbraio. «Sono storie di persone che ringraziano Dio per aver ricevuto il dono del perdono e per aver potuto perdonare -, ci racconta Francesco Travisi, responsabile per l’Italia della casa di produzione cinematografica Infinito+1 – cose che normalmente non si possono perdonare, come uccisioni, tradimenti e tutto quello che può ferire l’animo umano».Da qui il nome del film, che parte proprio analizzando come la società di oggi apparentemente desideri assaporare solo vendetta e violenza, ma che in realtà il perdono è l’unica via per potersi salvare veramente. Un messaggio quindi in controtendenza rispetto a quello che i mass media ogni giorno propongono, in cui l’unica arma vincente è la riconciliazione che pone fine a qualsiasi conflitto. (baldini.f., radiopiu.eu)

Intervista di Aleteia a Juan Manuel Cotelo

Juan Manuel, com’è nata l’idea di un film tanto controcorrente come questo sul perdono?

Non credo che sia un film controcorrente. Mi sembra che siano i film che propongono come “lieto fine” la vendetta ad andare completamente controcorrente, contro la società e contro gli individui. Credo che proporre finali felici di verità e non di finzione sia andare a favore della corrente, e non c’è “lieto fine” più bello del perdono. Per il resto, il film nasce dal fatto di essere stato testimone di incontri preziosi tra vecchi nemici che si sono abbracciati e baciati, hanno mangiato insieme, cantato, ballato… Non me lo hanno raccontato, l’ho visto con i miei occhi, ed essere testimone di questi incontri è stato così emozionante che mi è sembrato necessario raccontarlo, soprattutto a chi crede di non poter concedere il perdono o che ciò che ha fatto sia imperdonabile. Permettetemi di dimostrarvi con queste storie che non è così; che per quanto tragico, drammatico e oscuro possa essere il panorama, esiste un “lieto fine” che si può raggiungere.

Qual è la storia che vuole raccontare, e quale quella che vuole che resti nel cuore della gente?

Se potessi condensare in un’unica parola quello che mi piacerebbe che lo spettatore si portasse a casa è la parola “speranza”. Speranza, non disperare, anche se tutto sembra indicare che non ci sia via d’uscita, che si sia condannati alla tristezza e al rancore. Credo che lo spettatore esca con la possibilità di chiedere perdono, con la forza derivante dal fatto di vedere quello che hanno fatto le persone del film. Oso perdonare. Compio quel piccolo passo di chiedere perdono e di perdonare. E credo che accadrà, che uscendo dal cinema ci sarà un’ondata di riconciliazioni.

Non teme di cadere nella versione cinematografica dei “film con messaggio”, intendendo i film d’appendice?

Non ho alcun timore di aver realizzato un film d’appendice. Non mi preoccupa affatto che qualcuno dica che si tratta di un film “con messaggio”. Se qualcuno lo dice mi fa un grande complimento. Non nascondiamo i messaggi, non li camuffiamo. Sprigioniamo il messaggio d’amore così, sul grande schermo. Il messaggio del film è chiaro. È un invito, per niente dissimulato, ad amare.

In fondo tutti vogliamo essere perdonati, ma molti di noi non sanno perdonare. È una verità nel suo film?

Sono convinto che tutti sappiamo perdonare. Tutti sappiamo amare. Non abbiamo bisogno di un corso teorico per farlo. Abbiamo saputo amare i nostri genitori da quando ci hanno fatti nascere. Siamo fatti per l’amore. Perché dobbiamo essere perdonati? Perché abbiamo bisogno di ricevere l’abbraccio. Perché non dobbiamo frenare l’impulso di perdonare qualcuno? Perché sappiamo che ci farà bene. Farà bene non solo all’altro, ma anche a noi. Il mio consiglio è quindi non pensare tanto, ma semplicemente amare.

Il mondo sarebbe diverso se comprendessimo che il regalo più grande è perdonare ed essere perdonati?

Il mondo sarebbe diverso non se lo capissimo, ma se lo mettessimo in pratica. A volte pensiamo che sistemeremo il mondo capendo questa cosa, ma non è così. Voglio dire che la situazione non si risolve quando sappiamo ciò che è positivo, ma quando lo facciamo. E quando non facciamo il bene non succede niente, tranquilli. C’è sempre la possibilità di chiedere perdono e ricominciare, senza angosciarsi per le proprie cadute. Il fatto è che l’elemento intellettuale può spesso diventare una scusa per non amare. Visto che ho già capito l’amore mi basta. No, no, hai superato l’esame teorico con un bel voto, ma qui l’esame non è teorico, ma pratico. Effettivamente, il mondo sarebbe diverso se io cambiassi. Non devo aspettare che siano i potenti o i mezzi di comunicazione a cambiare… Approfittare del tempo significa vedere come posso amare oggi, e non domani, chi ho davanti.

Si può perdonare senza dimenticare?

Non siamo padroni della nostra memoria. Non dobbiamo preoccuparci del fatto di ricordare le nostre ferite – è umano. Quello di cui dobbiamo preoccuparci è il fatto di serbare rancore. Dobbiamo lottare contro questo, ma non cercare di mettere in atto una specie di eliminazione dei ricordi difficili. Dio, è vero, ci concede anche la grazia dell’amnesia. Dio stesso dimentica i nostri peccati, e ci aiuta non solo a perdonare, ma anche a non pensare più alle ferite. È un dono, non qualcosa che mi propongo.

Dove risiede il male più grande nel mondo?

Il male non ha criteri geografici. È dove due persone si muovono – perché ci sfioriamo – tra l’amore e il danno. Non siamo saponette che sbattono una sull’altra. Quello scontro a volte può essere una carezza, un graffio o una ferita. L’importante è non concentrarsi solo sulla ferita. Se guardo la ferita e mi lamento, posso dissanguarmi. Ma posso fare anche qualcos’altro, smettere di piangere, chiamare il medico… fare qualcosa… Al margine delle considerazioni sociali, politiche, il primo passo che è alla portata di chiunque – non c’è bisogno di essere il premier –: è amare in casa propria, come si educano i figli con l’esempio, con le parole… Do loro l’esempio quando sto guardando una partita di calcio e vince la squadra avversaria o sto insegnando loro a odiare chi è dall’altra parte? Come parlo dell’arbitro? Come parlo mentre guido e qualcuno commette un’infrazione? Perché è così che sto educando i miei figli. E se ho il clacson facile, sto contribuendo a creare un ambiente sociale di frizione. E posso diffondere amore anziché frizione.