Cine 4 – Dove non ho mai abitato

Cine 4 – Dove non ho mai abitato

Giovedì 17 gennaio ore 15.30 e 21 (€ 5,00 – under 25 € 3,50)

  • CANDIDATO AL GLOBO D’ORO 2018 PER: MIGLIORE MUSICA (PINO DONAGGIO), MIGLIOR FILM.
  • CANDIDATO AI NASTRI D’ARGENTO 2018 PER: MIGLIORE REGIA, SCENOGRAFIA.

Genere: Drammatico
Regia: Paolo Franchi
Interpreti: Emmanuelle Devos (Francesca), Fabrizio Gifuni (Massimo), Giulio Brogi (Manfredi), Hippolyte Girardot (Benoit), Isabella Briganti (Sandra), Giulia Michelini (Giulia), Fausto Cabra (Paolo), Jean-Pierre Lorit (Claudio Ferri), Alexia Florens (Lena), Naike Rivelli (Stefania), Valentina Cervi (Laura), Yorgo Voyagis (Theo)
Nazionalità: Italia
Distribuzione: Lucky Red
Anno di uscita: 2017
Data uscita Italia 12 ottobre 2017
Origine: Italia
Sceneggiatura: Paolo Franchi, Rinaldo Rocco, Daniela Ceselli Paolo Franchi, Mariolina Venezia, Roberto Scarpetti, Chiara Laudani
Fotografia: Fabio Cianchetti
Musiche: Pino Donaggio
Montaggio: Alessio Doglione
Scenografia: Giorgio Barullo
Costumi: Grazia Colombini
Durata: 97′
Produzione: Agostino Saccà per Pepito Produzioni con Rai Cinema.
Tematiche: Famiglia – genitori figli, Lavoro
Valutazione: Complesso, Problematico, dibattiti

 Soggetto:

Francesca, cinquantenne, vive da molti anni a Parigi con il marito Benoit. Un infortunio domestico la riporta a Torino per accudire il padre Manfredi, famoso architetto oggi ottantenne. In cerca di un pretesto per trattenerla un po’ più a lungo con lui, Manfredi le chiede di occuparsi di un progetto riguardante una villa sul lago fuori città. Francesca, contraria, finisce con l’accettare e si trova a lavorare con Massimo, architetto da tempo considerato il ‘delfino’ del padre…

Valutazione Pastorale:

“Si tratta – ha chiarito il regista in conferenza stampa – di un film sentimentale che nasce da molte suggestioni letterarie, dalla prosa pulita e profonda di Cechov e Henry James. Ho cercato di tradurre in immagini queste influenze perché mi piaceva raggiungere uno stile derivativo, postmoderno. Forse semplicemente classico”. Con queste premesse, Franchi ha fatto una scelta di forte carattere creativo, fondata sulla identificazione dei caratteri e la loro riconoscibilità immediata. Riuscire e collocare da subito persone e situazioni vuol dire fare un bel passo avanti nelle messa in atto delle dinamiche narrativo. I passaggi delle schermaglie affettive scandiscono con passione i vari momenti, così da arrivare quasi con naturalezza al forte climax finale. Che restituisce appieno il tono del melò, il dolore tenero e disperato di una impossibile unione, il pianto per qualcosa che poteva essere ma non sarà mai. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e indicato per dibattiti.

Utilizzazione:

Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e successivamente come prodotto italiano nell’insieme originale e anomalo, piegato su dinamiche di forte intimismo con venature psicologiche e, come detto, letterarie.

Scarica qui la nostra scheda del film.

Critica:

A volte nella vita ci si trova a fare di tutto per gli altri, per carattere o per lavoro. Si mettono a disposizione i propri talenti, le proprie energie, il proprio tempo fino a quando ci si ritrova a cinquant’anni, magari apprezzati professionisti, a fare i conti con se stessi domandandosi: che cosa ho costruito, in fondo, nella mia esistenza? Cosa rimane «di me», di tutto quello che faccio, che sono? È il caso di Massimo (Fabrizio Gifuni, una garanzia), architetto, che si è dedicato alla carriera, a fianco del famoso professor Manfredi (Giulio Brogi), da cui ha imparato molto e con cui ha condiviso parecchi progetti. Non ultimo quello di una casa, in mezzo alla natura, per una coppia di giovani ricchi innamorati. A dargli una mano, questa volta, sarà Francesca (Emmanuelle Devos), la figlia di Manfredi, anche lei architetto ma senza quasi mai aver esercitato la professione, venuta da Parigi per trovare il padre e ora «bloccata» a Torino dallo stesso, a causa di un infortunio. Da questa «infelice» costrizione tra i due nascerà un rapporto di intima conoscenza, fatta di verità, sepolte nel tempo e paure, rifuggite o non volutamente affrontate. Ambedue impegnati sentimentalmente, lei con famiglia e lui, più indipendente, con una compagna con la quale non convive, si ritroveranno a fare i conti con se stessi, con i loro profondi desideri e le loro disillusioni. Paolo Franchi porta così in scena una storia classica, forse d’altri tempi, ma altrettanto moderna. Dove lo spazio «sentimentale» lascia il campo alla «coscienza» dei protagonisti che mano a mano, come la stessa casa in costruzione (metafora azzeccata), cresce con una maggior consapevolezza di sé. Grazie a una regia asciutta, pulita, dove la malinconia (anche nei colori) sembra prendere il sopravvento, restano gli sguardi, nonché i «nudi» sentimenti. Gli stessi che ci accompagnano e ci interpellano, ci fanno gioire o soffrire nella nostra vita. Film ricercato, d’autore, forse volutamente compiaciuto. Per chi ama il genere «raffinato». O lo si ama o lo si odia. (Gianluca Bernardini, sdcmilano.it)

“Quarta prova del regista Paolo Franchi. Diversa dalle precedenti. (…) Stile e personalità di sguardo non mancano al regista, ma i suoi film – che non disdegnano la provocazione – suscitano forti controversie. ‘Dove non ho mai abitato’ ha un tono morbido, è e vuole avere un impianto più classico, un po’ scherzando e un po’ consapevole delle proprie scelte il regista lo definisce romantico e destinato a un pubblico di signore. (…) La trama dei sentimenti (…) e il filo contraddittorio delle occasioni mancate e/o delle scelte vengono dipanati all’insegna di una grazia non comune cui ben si intonano le impennate mélo.” (Paolo D’Agostini, ‘La Repubblica’)

“Il regista Paolo Franchi cita come modelli di ispirazione Cechov, straordinario tessitore di tranche de vie sul filo ondivago della realtà, e Henry James, squisito incisore di ritratti femminili imprigionati in una repressiva cornice sociale. Suggestioni letterarie a parte, formalmente ‘Dove non ha mai abitato’ è un film alla Antonioni, orchestrato su un impeccabile slittamento di tempi e spazi, sottolineato dalla musica da noir dell’anima di Donaggio; ed emozionalmente alimentato, anche grazie ai due ottimi interpreti, da un intreccio di sguardi che dicono più e meglio delle parole.” (Alessandra Levantesi Kezich, ‘La Stampa’)

“Due solitudini si incontrano, due «cuori in inverno» cominciano ad aprirsi in un intreccio che scorre sotterraneamente, dove si intuisce la forza dei legami e dei contrasti, anche di chi è fuori campo. Conta molto di più la messa in scena che non le parole, in quegli ambienti come luoghi emotivi, lontani dal frastuono della contemporaneità. Paolo Franchi apre ancora una volta un orizzonte inedito nel racconto cinematografico con dispositivi che può utilizzare per la scelta di attori carismatici (l’uso del primissimo piano, le ellissi, i sottintesi, il gioco dei silenzi, la lontananza linguistica) e costruisce così l’inestricabile rete di una passione romantica. (…) Gli spazi entro cui si muovono i personaggi sono quasi sempre vuoti come negli agghiaccianti interni delle riviste di arredamento e aspettano che il calore umano li riscaldi. II regista accende questo fuoco, ma non ne fa un incendio, procede con riserbo e cautela, con la malinconia strategica e poetica dell’amore impossibile. (…) Un film che sfugge alle classificazioni, un tono di racconto e di tensione morale che concilia con il nostro cinema.” (Silvana Silvestri, ‘Il Manifesto’)

“Mélo naturalistico nutrito da ispirazioni cine-letterarie e temi cari al regista, il quarto lungometraggio di Paolo Franchi esula dai precedenti per una forma ‘sostanziata’ in narrazione classica. La struttura del film, rigorosa e ‘congelata’, è architettata in coerenza alla forma mentis dei protagonisti alto-borghesi, eppure è capace di veicolare il calore di emozioni vere, intimamente contraddittorie e universali in quanto provenienti dall’essere umano di ieri, oggi e domani.” (Anna Maria Pasetti, ‘Il Fatto Quotidiano’)

“Pretenzioso e barbosissimo dramma sentimentale del recidivo Paolo Franchi. Dove si racconta la dolorosa storia d’amore tra due architetti (…). Un micidiale ‘breve incontro’ costellato di dialoghi involontariamente comici.” (Massimo Bertarelli, ‘Il Giornale’)