Canzone milanese

Canzone milanese

di Giorgio Zennaro (da UNA e-MAIL AL GIORNO del 23 gennaio)

Fin dall’inizio dell’Ottocento era tradizione che a Milano, soprattutto nelle osterie fuori porta, vi fosse sempre presente un suonatore ambulante con la sua chitarra ad allietare gli astanti. Il soprannome tradizionale che costoro avevano, era: Barbapedanna oppure Barbapedana. Il termine ha origine incerta, ma sembra fosse in uso già nel XVII secolo, anche se con diverso significato: compare infatti nel Barone di Birbanza, un’opera di Carlo Maria Maggi e stava ad indicare un giovane spavaldo che, seguendo la moda dell’epoca, portava la cappa a far bandiera sulla spada. L’ultimo ed il più famoso dei Barbapedana è stato Enrico Molaschi che ha rappresentato la figura di snodo fra la canzone popolare e quella d’autore milanese.

Egli fu infatti anche uno dei più famosi artisti dei cafés-chantants milanesi, insieme a Luciano Molinari, detto “Lucien”. Il costume, o meglio come si dice oggi, la mise dell’ultimo Barbapedana assomiglia molto a quella degli chansonniers francesi ed era costituita da una lunga zimarra nera ed un cappello a cilindro sul quale era infilata una piuma di gallo. La canzone più nota di Molaschi è stata “El piscinin”. Ogni Barbapedana aggiungeva qualche strofa al testo originale nel quale si narra di un personaggio così piccolo, ma talmente piccino da poter ballare sopra una moneta, per l’esattezza: un quattrino.

Un’altra canzone di quest’epoca, che ancora oggi è in repertorio a chi calca quel ruolo è “La roeuda la gira” di Sigismondi e Antonacci che risale al 1901 ed è dedicata al mestiere dell’arrotino ambulante.

In quel periodo di inizio secolo, emerge alla ribalta la coppia Bracchi-D’Anzi. Il primo era nato nel 1897 e era stato assunto in un’agenzia teatrale nella quale organizzava, dapprima, delle stagioni liriche e successivamente degli spettacoli di varietà, divenendo uno degli autori più noti di canzoni degli anni Trenta e Quaranta. Incontrò poi, proprio sul palcoscenico, Giovanni D’Anzi, che era del 1906 e con lui intrapresero rispettivamente le attività di pianista e compositore. La prima canzone fu scritta su invito della vedette Lydia Johnson, intitolata “Charlestonmania”. I due scrissero da quel momento, in tandem, una lunga serie di brani divenuti dei classici, tra i quali vanno ricordati: “Nostalgia de Milan”, “Lassa pur ch’el mond el disa”, “Duard…fà nò el bauscia”, “El barbisin”, “Mariolina de Porta Romana”, “La man morta” e “Casetta mia”. I testi di questi brani sono ovviamente redatti in dialetto milanese, le melodie talvolta sono mazurche, ma altre volte seguono i ritmi allora di moda, come il tango e lo slow.

Il brano più famoso di questo periodo, scritto unicamente dal maestro D’Anzi è la celebre “Madonnina” che è divenuta l’inno cittadino del capoluogo lombardo. “Madonnina” tende con evidenza ad esaltare la laboriosità e l’ospitalità dei milanesi.

Negli anni Cinquanta D’Anzi ideò pure un Festival della Canzone Milanese che andò in scena in una gelateria di Inverigo, con tanto di orchestra, direzione e giuria. Tutte questi incarichi però erano rivestiti unicamente da se stesso e il successo che ebbe la manifestazione lo fece diventare l’indiscusso factotum di dodici edizioni.

Seguendo l’esempio del capace e poliedrico maestro D’Anzi, Vittorio Mascheroni, nato nel 1895, studente al Conservatorio Giuseppe Verdi, dedicò gran parte del suo repertorio alla città, sia in dialetto che in lingua; basti pensare ai brani “Stramilano” e “Passeggiando per Milano”. Per la cronaca, sempre negli anni Trenta, precisamente nel 1939, Gorni Kramer eseguì per la prima volta una versione “jazzata” del celebre motivo “Crapapelada”.

Ai giorni nostri, di recente Il “Gufo” Roberto Brivio, in occasione del festeggiamento dei suoi sessant’anni di carriera teatrale si è fatto carico di vestire le vesti di “Novello Barbapedana” allo scopo di far rivivere la gloriosa tradizione delle canzoni popolari milanesi. Infatti il 14 luglio 2020 Brivio ha fatto rivivere la gloriosa tradizione di queste canzoni in una serata che si è svolta a Trezzo d’Adda. In tale occasione è stato fatto un affascinate viaggio alla riscoperta delle più popolari canzoni del settore all’insegna dell’immancabile buon umore.

Ieri pomeriggio ho appreso con grande disappunto e dolore della sua morte. Lo avevo chiamato al telefono domenica pomeriggio perché mi ero accorto che dai primi giorni dell’anno non aveva mai visualizzato i messaggi che costantemente ci scambiavamo via WhatsApp. Ho sentito che aveva la voce roca ed affaticata e mi ha confessato che era affetto dal Coronavirus, che si stava curando a casa e che si sarebbe trattato di una cosa lunga. Mi aveva poi, al temine della conversazione, raccomandato di non diffondere la notizia e, dopo averlo rassicurato, lo avevo pregato di tenermi informato sul suo stato di salute. Non l’ho più sentito nei giorni successivi e ho immaginato che le cose non andassero bene. Mi ero ripromesso pertanto di chiamare la moglie per avere sue notizie, ma evidentemente tutto deve essere precipitato all’improvviso in quanto ho appreso ieri pomeriggio, che al momento della sua scomparsa, era ricoverato da qualche giorno all’Ospedale di Monza.

Ciao Roberto, amico mio.

Giorgio Zennaro