La musica, gli spot, i diritti civili, i giovani. Morto Alan Parker, grande regista inglese

La musica, gli spot, i diritti civili, i giovani. Morto Alan Parker, grande regista inglese

Da “Fuga di mezzanotte” a “The Wall”, i suoi film hanno vinto dieci Oscar

Cinzia Romani  (il giornale.it – Sab, 01/08/2020 – 08:03)

Difficile non ricordare neanche un film di Alan Parker, il versatile regista inglese che ha segnato gli anni Ottanta e Novanta con i suoi film di culto, da Fame. Saranno famosi a Evita, passando per Fuga di mezzanotte e Mississippi Burning, recentemente riproposto nelle sale. Un personaggio molto significativo per l’industria cinematografica inglese e internazionale, anche nominato, in Francia, «Officier des Arts set des Lettres».

Morto ieri all’età di 76 anni, dopo una lunga malattia, Parker aveva lavorato nell’agenzia di pubblicità londinese Collet Dickinson Pearce (CDP) prima di approdare al cinema. È qui che scrive i suoi primi soggetti, tra i quali quello di Melody, adattato per il grande schermo da Waris Hussein, nel 1971. Nel 1974 compie il grande passo, realizzando due cortometraggi, Our Cissy e Footsteps. Ma è nel 1976 che uscirà il suo primo lungometraggio, Piccoli gangsters, parodia musicale dei film di gangster stile anni Venti, interpretato da un cast di ragazzini che comprendeva anche Jodie Foster: cinque BAFTA, gli Oscar britannici. Il suo secondo film, Fuga di mezzanotte (1978), dramma carcerario assai discusso, vince due Oscar (per la Migliore musica e il Miglior soggetto). Nel 1980 arriva un importante cambio di passo con Fame, vero inno alla gioventù e allo spettacolo, anch’esso baciato da due Oscar: Miglior musica e Migliore canzone. È evidente che l’ambito musicale sarà preferito dal regista, che firma Pink Floyd, the Wall nel 1982, portando al cinema il doppio album rock del famoso gruppo. Interpretato da Bob Geldof, The Wall resta una pietra miliare, nel suo genere. Otto anni dopo, riecco Alan sulle tracce d’un gruppo «soul» irlandese, con The Committments (1990), per poi concretizzare il suo sogno d’una commedia musicale in grande stile, dirigendo Madonna in Evita (1988).

E il successo gli arriderà ancora nel 1984 con Birdy. Le ali della libertà, dove ha l’occasione di lavorare con Matthew Modine e Nicolas Cage: tale dramma sulla malattia mentale e sull’amicizia otterrà il Grand Prix Spécial della giuria del festival di Cannes, nel 1985. Il suo film successivo, Angel Heart. Ascensore per il patibolo (1986), con soggetto suo proprio e interpretato da un’altra coppia d’assi, Mickey Rourke e Robert De Niro, suscita diverse polemiche negli Stati Uniti, dove l’associazione americana Motion Picture affibbia una bella «R» al thriller, per vietarlo ai minori.

Fervente sostenitore dei diritti civili, sir Alan Parker, nato a Islington (Londra) il 14 febbraio 1944, si è dedicato al tema della segregazione razziale con Mississippi burning (1988), mentre in Benvenuti in paradiso (1989) descrive l’internamento abusivo dei giapponesi, durante la Seconda guerra mondiale, da parte degli americani. Né poteva mancare, nel suo curriculum di attivista un film contro la pena di morte: Vita di David Gale (2003), con lo scomparso (dai radar) Kevin Spacey.

Nei tardi anni Sessanta fu uno dei registi britannici più influenti, che insieme a Ridley Scott e Adrian Lyne, rivoluzionò il look e la qualità degli spot pubblicitari televisivi, combinando racconto e estetica cinematografica. Membro della prestigiosa Directors Guild of Great Britain, associazione che riunisce i più influenti registi del cinema inglese, Parker era sposato, in seconde nozze, con Lisa Moran. Dieci Golden Globes e dieci Oscar, totalizzati dai suoi film, parlano d’una carriera formidabile, scritta a caratteri d’oro nel British Film Institute, che il regista contribuì a fondare. Eclettico e prolifico, nel 2015 aveva annunciato il suo ritiro con queste parole: «Ho girato film da quando avevo 24 anni e ogni giorno era una battaglia, ogni giorno era difficile, sia perché dovevi combattere contro il produttore che aveva idee diverse dalle tue, sia perché gli Studios ti davano il tormento. Chiunque ha lavorato con me sa che ho sempre battagliato per avere il diritto di fare il film che avevo in mente».