Cine 4 – La battaglia di Hacksaw Ridge

Cine 4 – La battaglia di Hacksaw Ridge

(Hacksaw Ridge)

giovedì 21 dicembre ore 15.30 e 20,45 – € 5,00 (€ 3,50 under 25 e convenzionati)

  • OSCAR 2017 PER: MIGLIOR MONTAGGIO E MIGLIOR MISSAGGIO SONORO. ERA CANDIDATO ANCHE PER: MIGLIOR FILM, REGIA, ATTORE PROTAGONISTA (ANDREW GARFIELD) E MONTAGGIO SONORO.
  • FUORI CONCORSO ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016).
  • CANDIDATO AI GOLDEN GLOBES 2017 PER: MIGLIOR FILM DRAMMATICO, REGISTA E ATTORE (ANDREW GARFIELD).

Genere: Drammatico
Regia: Mel Gibson
Interpreti: Andrew Garfield (Desmond Dess), Teresa Palmer (Dotothy Schutte), Hugo Weaving (Tom Doss), Rachel Griffiths (Bertha Doss), Luke Bracey (Smitty Ryker), Vince Vaughan (sergente Howell), Sam Worthington (capitano Glover).
Nazionalità: Stati Uniti
Distribuzione: Eagle Pictures
Anno di uscita: 2017
Data uscita Italia: 2 febbraio 2017
Origine: Stati Uniti (2016)
Soggetto e sceneggiatura: Andrew Knight, Robert Schenkkan
Fotografia: Simon Duggan (Scope/a colori)
Musiche: Rupert Gregson Williams
Montaggio: John Gilbert
Durata: 131′
Produzione: Hacksaw Ridge Production, Cross Creek Pictures, Demarest Media, Icon Productions, Pandemonium, Permut Presentations, Vendian Entertainment
Giudizio: Consigliabile/problematico/dibattiti **
Tematiche: Bibbia; Famiglia; Famiglia – genitori figli; Guerra; Male; Matrimonio – coppia; Storia; Tematiche religiose;

Soggetto:

Virginia, Stati Uniti. Figlio di un reduce della Grande guerra, che influenza la crescita del protagonista perché particolarmente violento e segnato dall’orrore dei combattimenti, Desmond arriva all’età adulta maturando una chiara convinzione verso l’obiezione di coscienza. Quando si arruola volontario tra i soldati spediti al fronte a Okinawa in Giappone, Desmond rifiuta di imbracciare armi e mette in campo un forte coraggio. Dimostra infatti tutto il suo valore salvando le vite di 75 suoi compagni…

Valutazione Pastorale:

Anche in questo caso bisogna ripetere che tutto è “tratto da una storia vera”. Desmond Doss è rimasto nella storia come il primo obiettore di coscienza negli USA. E questo è il punto di partenza: il resto è nel soggetto e racconta del rapporto tra Desmond e il fratello, tra Desmond e il padre alcolizzato, tra Desmond e la madre; infine tra Desmond e la sua fidanzata Dorothy. E poi la guerra, Desmond sbeffeggiato e preso in giro per la sua scelta di rifiuto delle armi, il processo, l’assoluzione, la battaglia, la salvezza di tanti commilitoni. Doss muore nel marzo 2006 a 87 anni, e lascia un ricordo profondo destinato ad allargarsi nella memoria nei cuori degli americani. Risulta vincente la scelta di Gibson di dedicare a lui un film, “tutto suo”. Che poi non è solo tale. Perché mentre esalta le virtù civili e religiose di Doss, Gibson compone in realtà un affresco aspro e potente sulla crudezza del conflitto bellico, senza tralasciare niente all’immaginazione. Pagine crude e forti che, affrontate con la Bibbia in mano segnalano la precisa volontà del regista di tornare a rappresentare una figura di uomo solo e votato al sacrificio. Com’era Braveheart, com’era Apocalypto: insomma una nuova Passione. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e da affidare a dibattiti.

Utilizzazione:

il film è da utilizzare in programmazione ordinaria ben tenendo conto del tono crudo delle parti belliche e insieme di quello intenso dedicato alla maturazione del protagonista.

Scarica qui la nostra scheda del film.

Critica:

“(…) un film potentissimo, squarciato a metà tra addestramento e fronte, citando Wyler e Kubrick e con un grande Andrew Garfield, più sofferto qui che in ‘Silence’. E sempre padri contro figli, sergenti contro soldatini, pace contro guerra, in un cinema che riunisce due anime e si butta a corpo morto in una cruenta e selvaggia carneficina. Convince l’armonia dell’insieme, la violenza anche della costanza dell’uomo senza fucile, i magnifici comprimari Weaving e Vaughn.” (Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 9 febbraio 2017)

“I personaggi radicali sono quelli che hanno sempre appassionato Mel Gibson e anche questa volta il regista riflette sul potere della fede rievocando la Seconda Guerra Mondiale. Si può essere patrioti e rinnegare la violenza, e questa è una lezione importante nell’America di oggi.” (Alessandra De Luca, ‘Avvenire’, 3 febbraio 2017)

“(…) la trasposizione gibsoniana della vera storia di un obiettore di coscienza diventato eroe di guerra sul fronte di Okinawa (maggio ’45: 11mila morti americani e 100mila giapponesi) esibisce una sincerità così veemente, un’iconografia così brutale, una religiosità così viscerale da renderne impossibile a qualsiasi tipo di spettatore la consueta «deglutizione» indifferente. Ad uno sguardo obiettivo, insomma, le tre parti che scandiscono la storia di Desmond Doss (…) trasudano nello stesso tempo retorica e patriottismo Usa, culto persino ingenuo del coraggio e dell’abnegazione e denuncia dell’assurdità della guerra. Anche dal punto di vista della costante e convulsa ricerca di una spettacolarità estrema e sconsigliata ai pubblici impressionabili, il cosiddetto «Mad Mel» coniuga alternativamente la magniloquenza dei film di guerra in stile Warner anni Cinquanta alle acmi iperrealistiche raggiunte con poco computer e molti effetti «in camera» sulla scia dei modelli firmati Peckinpah e Spielberg. L’interminabile sequenza del carnaio della collina Maeda che occupa, in pratica, la seconda metà del film rende, così, il corpo a corpo di trincea un golgota dantesco, intriso di una cultura pittorica disomogenea vagamente evocatrice dei dipinti controriformistici fitti di morti raccapriccianti, corpi straziati e sangue dilagante. La mano di Gibson è, dunque, pesante, ma l’effetto sullo schermo è in qualche modo annichilente.” (Valerio Caprara, ‘Il Mattino’, 2 febbraio 2017)

“Dopo dieci anni l’«infamous» Mel Gibson torna dietro la macchina da presa e con il suo talento di cineasta riesce a far (almeno temporaneamente) dimenticare gli episodi di ubriachezza, risse, esternazioni antisemite e omofobe per cui è noto. (…) ‘Hacksaw Ridge’ è destinato a ritagliarsi un posto fra i classici del cinema di guerra hollywoodiano, in una linea che va dal ‘Sergente York’ a ‘Lettere da Iwo Jima’ di Clint Eastwood. Con quest’ultimo illustre collega Gibson ha più di un punto in comune, tra cui l’ostentazione verbale di un reazionario integralismo che i film non rispecchiano, o rispecchiano solo in parte. Più di tutto, Gibson ama far emergere dei suoi protagonisti il lato umano e la ferma convinzione morale; e in tal senso in Desmond Doss (…) ha trovato l’eroe ideale. (…) Strutturato in due parti, il film delinea nella prima i perché della motivazione religiosa del personaggio, fra cui un contrastato rapporto con un padre, traumatizzato dall’esperienza della I Guerra; mentre la stoica resistenza di Doss a umiliazioni fisiche e insulti durante l’addestramento, offre a Gibson l’occasione di suggerire con qualche ridondanza una specie di calvario a misura umana. Da qui si salta direttamente alla primavera del 1945 nel paesaggio infernale di Okinawa (…) dove Doss nel corso di una notte portò in salvo, lui da solo, ’75 compagni feriti. Articolato in tre lunghe sequenze girate con limpidezza e piglio epico, lo scenario bellico è mostrato in tutto il suo orrore, ma senza compiacimenti semmai in funzione di denuncia; e con il suo sguardo inquieto e il suo ispirato ribellismo Andrew Garfield, giustamente candidato come miglior attore, conferisce scorticata, moderna sensibilità al personaggio.” (Alessandra Levantesi Kezich, ‘La Stampa’, 2 febbraio 2017)

“(…) film delicatissimo per ragioni filmiche e biografiche. Incredibile ma vero, le stagnanti acque della Laguna per ‘Mad Mel’ si sono rivelate lustrali: è rinato a nuova vita, senza rinnegare se stesso. (…) In attesa del ‘Dunkirk’ di Christopher Nolan, il ‘De bello Gibson’ non si batte: ritmo e clangore, coreografie ed esplosioni, e almeno una scena – un soldato yankee si fa scudo di un commilitone ridotto a tronco umano e va all’assalto dei giapponesi – da mandare per direttissima agli annali della Settima Arte. Il segreto? Il segno di Croce, lo stesso che il regista si fece in ‘The Passion’ (2004): ‘Nel nome del Padre, del Figlio e del globulo rosso…’. Il sangue scorre a fiumi, secondo solo alla retorica; la Bibbia è brandita come un’arma; Andrew Garfield smette la calzamaglia di Spider-Man ma non i superpoteri (…). Pane, e sangue, per i denti di Gibson, che a leggere la sceneggiatura di Robert Schenkkan e Andrew Knight non avrà creduto ai suoi occhi: a Okinawa, fronte del Pacifico, secondo conflitto mondiale ravvisa un’altra Passione, un altro Cristo, l’ennesimo trionfo ematico, si spella le mani e parte lancia in resta. Dio, patria e famiglia, guerra e amore, il suo cinema santifica tutto, senza eludere ed elidere nulla, perché per Gibson osceno e fuori scena non sono sinonimi ma contrari. Se Andrew Garfield è nettamente preferibile qui che nella tonaca del ‘Silence’ scorsesiano, nel buon cast spicca il padre rotto e manesco Hugo Weaving, e lo spettacolo vale davvero il biglietto, al netto delle tare ideologiche: sì, Mel Gibson è tornato alla grande.” (Federico Pontiggia, ‘Il Fatto Quotidiano’, 2 febbraio 2017)

“Si sente nel focoso passo marziale, nei dettagli cruenti e spettacolari, delle scene di guerra, nell’onore iconico del protagonista quanto Mel Gibson regista è fiero del suo filmone sulla battaglia di Okinawa, nella storia vera del soldato Doss (…). Esempio di coerenza e richiamo ai valori di democrazia, l’ex ‘uomo ragno’ Garfield risulta una buona scelta per ricostruire il ‘corpo senza fucile’ nelle imprese del ragazzone. Impostato come un inno di gloria alle convinzioni ideologiche, con ricostruzioni di combattimento, è la sfida di Mel al vecchio Clint. Vince Eastwood. Però il fanatico (alcolico e violento) autore del blockbuster cristico ‘Passion’ recupera la verve di ‘Braveheart’.” (Silvio Danese, ‘Nazione-Carlino-Giorno’, 2 febbraio 2017)

“Piacerà un sacco agli ammiratori di Mel Gibson. Che in dieci anni (‘Apocalypto’ è del 2006) si saranno intristiti non poco per la sua inazione come regista. E la tristezza sarà stata raddoppiata dalle infelici comparse di Mel quale attore (…). ‘Hacksaw Ridge’ è invece di nuovo grande Gibson. Per l’impalcatura ideologica (l’opera parte da premesse che solo Mel poteva sostenere) e per la grandeur, la tensione nelle scene di battaglia. Solo il bigotto Mel poteva raccontare la vicenda – e la leggenda – di uno più bigotto di lui. E solo Mel poteva rendere plausibile e digeribile per il comune spettatore il dualismo leggermente schizoide di Desmond (rifiuta di violare il quinto comandamento e si offre volontario per la guerra, che è violazione feroce e sistematica del quinto). Forse non solo Mel ma pochi altri, leggi Clint Eastwood, erano in grado di riempire lo schermo con battaglie che reggono il confronto con quelle di ‘Braveheart’. E in un caso su tre le superano. Il primo combattimento è messo in scena come un terribile incubo dove non c’è posto per inno dei Marines o bandiere che sventolano. Merito dei meriti gibsoniani, l’aver evitato il santino. Desmond fu un eroe, ma Mel non dimentica neanche per un minuto che a Okinawa vinsero quelli che a uccidere non avevano remore.” (Giorgio Carbone, ‘Libero’, 2 febbraio 2017)

“La fede sembra, improvvisamente, tornata di moda in quel di Hollywood. Dopo il recente ‘Silence’ di Scorsese, che si interroga sui (presunti) silenzi di Dio che possono sgretolare granitiche vocazioni religiose, ecco ‘Hacksaw Ridge’ che, all’opposto, celebra la fermezza del «Credo». E permette a Mel Gibson di firmare, probabilmente, il suo miglior film dietro la macchina da presa. Che lui sia un grande regista di scene belliche è risaputo, ma mai come in questa occasione è stato capace di esaltare un campo di battaglia, raccontando, paradossalmente, la storia di un atipico eroe di guerra. (…) Tutto reale, come testimoniano alcuni contributi dei veri protagonisti, inseriti nei titoli di coda. Insomma, per certi versi, un altro «Sergente York» (ricordate Gary Cooper?), pur con gli evidenti distinguo delle due storie. Andrew Garfield è credibile in ogni momento e meriterebbe di vincere l’Oscar, in particolare quando Gibson (candidato alla regia) lo trasforma in una sorta di Gesù che sprizza sangue dopo il sacrificio e viene adagiato su una barella come nel sudario. Del resto, il suo misticismo sa di ossessione e qui Mel trova materia plasmabile. Un bel confronto anche tra il concetto del soldato, strumento di guerra, e l’idealizzazione di un combattimento «pacifico» in antitesi con la macchina bellica.” (Maurizio Acerbi, ‘Il Giornale’, 2 febbraio 2017)

“E’ una storia assurda ma è anche vera come dimostrano le struggenti testimonianze fotografiche e video disposte da Gibson sui titoli di coda di un film quasi divertente nella prima parte (lo stupore dei militari di fronte a questo campagnolo invasato è esilarante) per poi diventare incredibilmente feroce e violento in un epilogo di guerra di trincea che consigliamo agli stomaci forti. La vicenda epica del primo e unico soldato pacifista della storia dell’esercito americano, splendidamente interpretato da un Garfield solare, sorridente e mai irritante nella sua ferma convinzione morale, entra magicamente in connessione con la vita di Gibson, credente come Doss ma in passato molto meno pacifista di lui. (…) un film religioso febbricitante e realmente vertiginoso, in grado di colpire con forza anche i non credenti per via dell’universalità del messaggio portato da questo incredibile personaggio morto il 23 marzo 2006 dopo essere diventato un vero e proprio mito della storia moderna americana.” (Francesco Alò, ‘Il Messaggero’, 30 gennaio 2017)

“La dismisura sembra la chiave scelta da Mel Gibson per fare il regista: l’economia di mezzi non lo riguarda, il suo motto è ‘think big’, sia che racconti la passione di Cristo, l’epopea dei Maya o, come qui, il primo obiettore di coscienza premiato con la Medaglia d’onore del Congresso. (…) Gibson filma «alla vecchia», senza sfumature né zone d’ombra, moltiplicando le esplosioni e le carneficine. Frastornando i soldati ma anche gli spettatori.” (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 5 settembre 2016)

“Gibson racconta il celebre scontro insistendo, con il suo gusto splatter, sui dettagli più macabri, in un delirio di sangue, corpi sventrati e altri orrori. D’altra parte non è la prima volta, lo stesso stile discutibile, ai limiti del compiacimento, era presente nella ‘Passione di Cristo’ e in ‘Apocalypto’. (…) L’interesse di ‘Hacksaw Ridge’ (…) sta soprattutto nella vicenda reale, rievocata, alla fine dela pellicola, attraverso le interviste ai protagonisti, da Doss (morto nel 2006) ai suoi superiori, costretti a riconoscere il valore di quel militare così atipico. Nei suoi panni, alto, magro, con la faccia da bravo ragazzo perennemente stralunato, recita Andrew Garfield (…).” (Fulvia Caprara, ‘La Stampa’, 5 settembre 2016)

“Dieci anni dopo il discusso e discutibile ‘Apocalypto’, Mel Gibson ritorna dietro la macchina da presa conservando intatti qualità e difetti. E’ uno dei migliori registi di scene belliche, riesce a trarre il massimo dagli attori, sa che una buona sceneggiatura è già metà dell’opera, ha un senso sicuro dello spettacolo. L’altro lato della medaglia è una specie di ossessione mistica, coniugata con una sorta di sadismo rosso-sangue: dolore e preghiere, mutilazioni ed espiazioni, delitti e castighi, la sofferenza come strada, non sempre certa, verso la salvezza. (…) il film non è mai banale nel raccontare lo scontro fra la macchina militare che deve trasformare i suoi soldati in strumenti di morte e uno di essi che, pur rifiutandosi di uccidere, difende l’idea che si possa combattere salvando le vite dei propri commilitoni: «cooperatore cosciente» è come del resto lo stesso Doss preferirà definirsi, al posto di obiettore di coscienza… (…) Una bella pagina, asciuttamente retorica, nel libro degli eroi solitari, disperati e apolitici raccontati da Mel Gibson nel corso di una carriera bella e drammatica.” (Stenio Solinas, ‘Il Giornale’, 5 settembre 2016)